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Legno e kimono: il silenzio di Gion


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Gion sorge sulla riva est del fiume Kamo. È il quartiere storico per eccellenza di Kyoto: quello dei piaceri e del divertimento, dedicato soprattutto ai viaggiatori che sostavano, pieno di case da tè e famoso per le geiko, ovvero le geisha secondo il termine proprio di questa città.
Non è l'unico: lo stesso si può dire per Pontocho, sulla riva ovest del Kamo, più piccolo e meno noto, votato alla ristorazione. Ve ne sono anche altri che noi non abbiamo visitato.


A Gion, la sera, lungo la strada possiamo ancora incrociare una geiko e/o una maiko, la sua giovane apprendista. A noi è capitato (qui soltanto). Fotografarle è considerato poco educato, quindi è bene non farlo; forse anche per questo tendono a essere veloci e sfuggenti.
Devo chiarire un punto sulle geisha: la loro immagine sessualizzata è una distorsione occidentale. Geiko significa maestra d'arti: esperta nel suonare il shamisen (strumento a tre corde che ricorda il banjo o il sitar), nel canto, nella danza (che è il significato di maiko) e, naturalmente, nella cerimonia del tè. Abilità che diventano ancor più complesse quando le si deve esprimere con eleganza stretti nelle fasce di un kimono.

A Kyoto e in altre città storiche molti giapponesi girano in kimono. 

In giro per Gion e per tutta Kyoto vediamo molti giapponesi vestiti in kimono: ovviamente le donne non sono geishe (distinguibili per il volto bianco), semplicemente vestono l'abito tradizionale. Esistono kimono per diverse occasioni e di diverse fatture: per una passeggiata non si indossa certo un kimono cerimoniale. Più ci si allontana dalla modernità, più questa abitudine è rimasta comune (sebbene, ho saputo, alcuni lo facciano anche perché è diventata una sorta di convenzione turistica; lo si percepisce bene davanti al Senso-ji a Tokyo, mentre a Kyoto, specie nei quartieri non centrali, c'è più autenticità).

Gion è piena di negozi dove acquistare o noleggiare kimono.

Gli edifici che costeggiano le strade di Gion custodiscono ancora le vecchie case da tè e le abitazioni originali, tra le meglio conservate dell'intero Paese. Vi sono persino vicoli acciottolati in cui si è completamente circondati dalle facciate in legno, e dove è proibito scattare fotografie.


La sera, le lanterne illuminano le facciate di luce ambrata, e regna un silenzio immacolato. Di colpo siamo in un luogo e un tempo impossibili da conciliare con una metropoli da un milione e mezzo di abitanti, rimasta indietro, da qualche altra parte.


Ogni scorcio rivela una cura maniacale: non solo gli shōji (le tipiche porte a traliccio) e i noren (le tende con gli ideogrammi appese sopra gli ingressi), ma ogni pietra e ogni ciuffo di verde occupano l'esatto posto che devono occupare. Appena oltre l'ingresso delle case, spesso si aprono giardini in miniatura coi loro sentierini di sassi.


Come se non bastasse, una profusione di ponticelli affaccia sul canale che affluisce il fiume Kamo, luogo anche di piccoli santuari shintoisti avvolti tra le chiome dei sakura (ciliegio). L'eleganza di ogni angolo, anche il più nascosto, rende impossibile staccare gli occhi da quello che ci circonda.


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