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KING: YOU LIKE IT DARKER (2024), CREDERE È LA COSA PIÙ DIFFICILE



La mancanza di fede è la maledizione dell'intelligenza.
Credere è difficile, vero?

Già, credere è la cosa più difficile. Che si tratti di fede, di un incontro del terzo tipo, di un programma di recupero degli Alcolisti Anonimi, dell'incedere della vecchiaia, di una malattia terminale, dell'innocenza di un uomo, della predestinazione o di un'apparizione inspiegabile... a tutte queste cose è difficile credere, anche quando avvengono a un palmo dal nostro naso.
Forse è questo il fil rouge dei racconti di You Like It Darker - Salto nel buio (Sperling, 2024), del resto un'antologia variegata come quelle a cui King ci ha abituato negli ultimi anni, molto meno improntate all'horror rispetto a classici come Scheletri e A volte ritornano, molto più sconfinanti in un fantastico che, almeno in certi episodi, è quasi un mainstream contaminato, teso come la cinghia di una motosega, dove a farla da padrone è lo scavo profondo nell'interiorità dei personaggi e nelle dinamiche che muovono il mondo. Cosa che King ha sempre fatto, s'intende, ma che è diventata più marcata con il procedere della sua produzione, e credo che You Like It Darker si dimostri un passo ulteriore in questa direzione.
Credere è difficile anche quando si tratta di un talento che trasforma di punto in bianco una vita ordinaria in una di successo. Questione evidentemente autobiografica su cui King si interroga in Due bastardi di talento, il racconto in apertura, uno dei migliori, sfruttando il pretesto fantastico (non dirò quale) per spiegare qualcosa di incomprensibile. Carmody, nel racconto, proprio come King nella realtà, è uno scrittore-rockstar ormai anziano. Chi o cosa devono ringraziare, entrambi, per come sono andate le cose? Il talento, sempre che si riesca a definirlo, o piuttosto il caso? E comunque da dove arriva il talento e perché è stato loro concesso? "Non c'è nulla che non posso darti che non sia già innato", si dice alla fine del racconto, perché è impossibile una risposta tombale alla questione. Tanto che dopo poche pagine King la riprende, sotto mentite spoglie, raccontandoci del dono che travolge Danny Coughlin e che fa della sua vita pacifica un vero incubo (nell'omonimo racconto, il più lungo dell'antologia, un altro dei migliori).
Ma il primo racconto stabilisce il tono dell'intera antologia anche per un'altra ragione. La figura di Carmody ci rivela molto più di quanto la storia racconti: nei suoi acciacchi da vecchietto, nel suo rapporto con la famiglia, nel suo difendere la propria vita privata, troviamo King stesso mentre vive la sua vecchiaia, il decadimento, la prospettiva sempre più vicina della fine. Mai come in questo libro sentiamo King, nell'atto dello scrivere, che fa terapia su se stesso, dotandosi degli strumenti cognitivi per affrontare quello che è alle porte e che, forse, non può più essere esorcizzato.
Il tema permea molte delle pagine di You Like It Darker: in Il quinto passo, per esempio, il punto di vista è ancora un uomo anziano, le cui giornate sono scandite dalla passeggiata mattutina, dall'amore per la lettura, dai pensieri automatici sul senso della vita e sulla vecchiaia ("A sessantotto anni gli piaceva pensare di avere ancora tanta strada davanti. Però non aveva senso negare che cominciasse a restringersi"). Analogamente, in Serpenti a sonagli troviamo una vecchia conoscenza, Vic Trenton (Cujo), oggi un settantaduenne acciaccato che si guarda indietro ("pensavamo di essere vecchi, ma non sapevamo che cosa fosse la vecchiaia"), si trasferisce giù in Florida (dove King e Tabitha trascorrono gli inverni da ormai molti anni), e non manca di brontolare a proposito del governo.
Il dolore, la perdita, il ricordo e l'oblio (in una parola: il passato) spesso associati appunto all'avanzare degli anni, sono temi ricorrenti anche quando osservati da occhi esterni: in Willie lo Strambo, quelli di un ragazzino che sviluppa una curiosità morbosa per il nonno malato e morente, ospedalizzato in casa durante il Covid. O quelli di Finn, protagonista dell'omonimo racconto, un uomo che vive un susseguirsi di sfighe che ha dell'incredibile, al punto da indurlo a chiedersi se la sua vita sia davvero reale: se sì, non accadrà niente, se no tutto finirà così com'è cominciato. E la pagina termina lì. Una sferzata metanarrativa sul finale che di colpo si fa motore della storia.
"Dimenticare sarebbe sbagliato. E non lasciar andare... credo che generi dei mostri" pensa Trenton in Serpenti a sognali, rifacendosi al celebre dipinto di Goya (Il sonno della ragione genera mostri). E ci è impossibile non udire echi di Pet Sematary, oltre a quelli più espliciti di Cujo e Duma Key, a cui Serpenti si collega in modo diretto. E naturalmente quelli dei luoghi di culto kinghiani, Derry e Castle Rock, citati (anche se non protagonisti) in diversi racconti.
Ma sono, appunto, echi. (E, viene da pensare, anche strategicamente collocati laddove non veramente necessario pur di farci sentire a casa.) Perché in You Like It Darker a essere importanti non sono tanto le storie che vengono raccontate, o non solo: piuttosto come vengono raccontate e il motore che le muove. In Serpenti c'è sì la presenza sovrannaturale dei bambini, ma c'è soprattutto il passato di Vic e la malattia della vicina di casa, entrambi genitori privati dei figli e della famiglia; e ci sono i serpenti, metafora di tutto ciò che può ferirci. In L'incubo di Danny Coughlin c'è sì il dono sovrannaturale di Danny, ma c'è soprattutto la mente ossessiva del detective che gli sta alle costole, intrappolato nei propri schemi logici, incapace di un atto di fede al di là di essi.
Dimenticare, in fondo, è come smettere di credere, od ostinarsi a non farlo, o non esserne in grado. Allora si è totale in balia del mondo là fuori, un mondo "pieno di serpenti a sonagli. A volte li calpesti e non mordono. A volte li scavalchi e ti mordono lo stesso".


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