LA CADUTA DELLA CASA DEGLI USHER: MINISERIE
Carestie, povertà, malattie... Potreste risolvere tutto quanto solo con il denaro. E non lo fate. Se sottraeste un briciolo di tempo ai vostri futili viaggi, alle crociere di piacere [...], se smetteste di fare film e tv per un anno e spendeste i soldi per ciò che è necessario, potreste risolvere tutto... e ve ne avanzerebbero.
Invece l'impero degli Usher, il colosso farmaceutico Fortunato, è l'emblema (uno dei tanti) del capitalismo, anzi, del Capitalocene, l'era della subordinazione della natura, umana e non, alla produzione e all’accumulo della ricchezza. Gli Usher, tutti, dal capofamiglia Roderick ai suoi sei figli avuti da donne diverse, tutte sacrificate sull'altare della scalata, fino a sua sorella Madeleine, sono l'avidità incarnata, la bramosia, l'edonismo, l'arroganza, la crudeltà, l'opportunismo, lo sfruttamento, il raggiro. Il male della civiltà moderna, dilagante e incontrollato perché «le pene per le aziende in questo mondo sono una barzelletta».
E così la caduta della famiglia, quando i figli iniziano a morire uno a uno per mano di un potere superiore, più che un atto di giustizia divina sembra l'epigrafe legittima e orgogliosa di una vita dove individualismo, denaro e potere hanno prevalso al di sopra di tutto, rendendo possibile l'impossibile, reale l'inimmaginabile, certezze i sogni. Come avrà modo di concludere Madeleine, un Usher esce di scena a testa alta perché dopotutto è mostro non diverso da quelli che l'hanno generato: i consumatori, le "vittime" del sistema.
«Se la vita ti dà limoni...» inizia Roderick mentre confessa il suo passato a Dupin, assistente procuratore, una delle tante facce che gli Usher hanno calpestato, impuniti. «Fai una limonata?» tenta Dupin, e Roderick lo guarda come se fosse un bambinetto ingenuo. «No» replica. «Prima lanci una campagna multimediale per convincere tutti che i limoni sono incredibilmente scarsi [...], poi fai un blitz mediatico. I limoni sono il modo per dire ti amo, il must have degli accessori per le feste di fidanzamento e gli anniversari [...]. Coinvolgi anche De Beers. Bracciali in edizioni limitata con diamanti gialli "gocce di limone". Convinci Apple a chiamare il sistema operativo "OS Lemòn" [...]. Chiedi il 40% in più per i limoni bio, il 50% per i limoni conflict-free, riempi la capitale di lobby del limone, fai succhiare a una Kardashian un limone in un video sexy trafugato. [...] Fai una campagna di hashtag: niente è più una "figata", "da paura" o "pazzesco", no, è "limone". Hai visto quel film, sei andato a quel concerto? È stato troppo "limone". [...] Il dottor Oz ti raccomanda quattro limoni al giorno e una supposta al limone per eliminare le tossine, perché non c'è niente di più spaventoso delle tossine. Al che brevetti i semi. [...] Fai circolare quei semi nella natura e poi citi gli agricoltori per violazione di copyright quando quel codice spunta nei loro terreni. Ti metti seduto, rastrelli i milioni, e poi quando hai finito e hai venduto il tuo limonimpero per qualche miliardo, allora e solo allora fai una fottuta limonata.»
Limpido.
Va da sé che il farmimpero Fortunato non si limita certo alla produzione di pillole antidolorifico. Punta al sogno di un benessere senza età, l'immortalità, il corpo industriale che finalmente si fonde con quello organico: un congegno che fa battere il cuore a ogni costo, un bot digitale che riproduce la coscienza di un caro defunto. E per un attimo si entra in zona Cronenberg, ma solo per un attimo, per poi ritornare nei territori di Mike Flanagan.
Allora dove sta l'horror in tutto ciò, dato che Neflix etichetta così la La caduta della casa degli Usher? E dov'è Edgar Allan Poe, citato a partire dal titolo e poi innumerevoli volte nel corso degli otto episodi? La piacevolezza dei rimandi a Poe e l'atmosfera gotica che permea il livello narrativo più orizzontale sono la ciliegina su una torta a più piani. Poe, qui, non è molto più di un pretesto narrativo sopra il quale Flanagan costruisce i suoi Usher, la storia moderna di una famiglia moderna e di una corporation moderna.
Da questi assunti, anziché fare un gran pasticcio come sicuramente avrebbero fatto molti altri, Flanagan crea la miglior trasposizione della narrativa di Poe mai fatta sul piccolo o grande schermo, perché anziché prenderla alla lettera ne gira al largo, la attualizza e ne mantiene lo spirito. Come fece Carpenter con Lovecraft in Il seme della follia (anche se a onor del vero quello era un omaggio, mentre qui i riferimenti a singoli racconti di Poe sono diretti).
Come già scrivevo per The Haunting Of Hill House, il vero horror ha a che fare con le viscere non perché mostra quelle di un personaggio in un piatto sanguinolento, ma perché sferra un pugno in quelle di chi guarda. Noi. Per un attimo ci manca il fiato, ma è la sensazione di nausea a continuare anche dopo che ricominciamo a respirare. Il grande horror è quello che ci mette a disagio di fronte alle verità che già sappiamo ma di cui non vogliamo parlare, aspetti dell'esistenza e della mortalità che ci rendono piccoli, fragili e impotenti. L'unico horror che funziona non è quello dove saltiamo sulla sedia e poi ci mettiamo a ridere per lo sbalzo adrenalinico, ma è quello che ci lascia un bisbiglio dietro l'orecchio che continuiamo a sentire anche dopo aver spento la tv (o chiuso il libro). Un sussurro che ci parla di verità teribili e possibilità inesplorate.
Ecco perché gli ultimi IT non sono 'sto granché, mentre Flanagan vince a ogni cosa che fa. Ne ha dato prova con Hill House e Midnight Mass, a mio parere ancora i due migliori prodotti di genere in circolazione, almeno nella grande distribuzione. La caduta della casa degli Usher non li supera perché destinato in modo evidente a un mercato ancora più generalista ed eterogeneo. In Usher, Flanagan osa meno di quanto osava nei due illustri predecessori. Ricordate l'episodio di Hill House interamente ambientato davanti alla bara in una camera ardente? Ecco, qui non c'è nulla del genere.
Ciò non vuol dire che le tematiche e la scrittura, anche se più accessibili, siano più morbide. Usher fa il suo dovere e lo fa con senso, gusto ed estetica, rappresentando un ottimo punto di incontro tra mass-market e pochi compromessi. Sferra il suo pugno e a dire il vero non lascia molto tra le righe a proposito delle forze malvage del Capitalocene. Più che un sussurro alla fine rimane un grido di allarme, le urla di una specie anch'essa sull'orlo della caduta, intrappolata in circoli viziosi alimentati da denaro e indifferenza da cui è impossibile uscire. Se non per mano della Morte Rossa.
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