FONDAZIONE: STAGIONE 1
L'adattamento di quella che probabilmente è la più famosa saga di fantascienza di sempre, a firma Isaac Asimov, è stato tanto atteso quanto inevitabilmente discusso. I fan dei libri non possono passare sopra a certe pecche che la serie ostenta senza troppe remore, ma dovrebbero anche riconoscerne alcuni meriti. Chi invece non ha letto i libri pare se la sia goduta di più per quello che è. Per quanto mi riguarda, ho visto questa serie in compagnia di alcuni amici, anche loro conoscitori dei libri, man mano che gli episodi uscivano settimanalmente (cosa che, se la memoria non mi tradisce, non ho mai fatto per nessuna serie prima d'ora). E devo dire che l'aspetto seriale, l'attesa di sapere come la storia proseguirà, è una parte sostanziale del coinvolgimento di un prodotto come questo. Ormai tendiamo a snobbarlo dato che le serie di Netflix e Prime vanno online in blocco oppure le guardiamo quando sono già complete, vivendole di fatto come lunghissimi film. Ma è un peccato. Personalmente ripeterò l'esperienza appena ne avrò l'occasione.
Ma veniamo alle gioie e ai dolori della Fondazione. Per conoscere la trama a grandi linee vi rimando a Wikipedia, io passo subito al sodo. I primi due episodi sono la dimostrazione di come un adattamento spiritualmente vicino ad Asimov fosse non solo auspicabile, ma possibile. Nelle due ore iniziali ritroviamo tutti gli eventi dell'inizio del primo romanzo riscritti con la giusta dose di libertà creativa e attualizzazione. Va dato subito merito alla produzione di aver scelto il l'attore perfetto per Hari Seldon, ovvero Jared Harris (già visto in Chernobyl): sbagliare il volto di Seldon avrebbe significato ovviamente far colare a picco la serie sin dai primi minuti.
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Ancor prima di Seldon scopriamo Gaal, il primo dei personaggi del mondo quasi unicamente maschile di Asimov che nella serie cambia di sesso, scelta che in generale è stata ben giocata. A Gaal vengono dati un passato e una motivazione, e nella sua vicenda personale viene inserito anche un messaggio ambientalista che ben si sposa coi tempi che corrono. Ricordiamoci che Asimov liquidava in fretta, con qualche dialogo, i tantissimi personaggi-comparsa che caratterizzano la trilogia originale, in particolare il primo volume.
Dall'episodio 3 fino al decimo avviene uno sfasamento. Da un lato c'è la storyline tratta dai romanzi, cioè la crisi tra la Prima Fondazione e Anacreon. Dall'altro ci sono nuove linee narrative inventate dai creatori della serie, traendo ispirazione da alcuni elementi che Asimov ha sparpagliato in vari libri, il cui scopo è approfondire la casata imperiale, ovvero la "famiglia" di cloni di Cleon. Un plauso anche per l'inserimento azzeccatissimo di Demerzel, il consigliere imperiale che in Asimov appare nei prequel, qui portato in vita da un'attrice splendidamente glaciale. La storyline imperiale funziona benissimo, le intuizioni della produzione sono sorprendenti, come la messa in scena, sebbene talvolta un po' sopra le righe, del noto parallelismo con l'Impero Romano che rappresenta il fondamento stesso della visione di Asimov, senza però diventare parte attiva dei romanzi.
Se, dunque, la serie dimostra di saperci fare nell'espandere la "galassia umana" che nei libri viene appena accennata, paradossalmente è proprio sul fronte Asimov che ci sono gli scivoloni più incomprensibili. Mi riferisco agli Anacreoniani dipinti come i Dothraki di Il trono di spade, l'insediamento della Fondazione su Terminus e il personaggio di Salvor Hardin che paiono usciti da Mad Max, e le dinamiche della crisi Anacreon-Fondazione completamente stravolte e raffazzonate.
Hardin passa da sindaco a guerriero (o meglio, guerriera) come se questo fosse necessario ad aumentare il livello di avventura e pericolo. Evidentemente David Goyer (ahimè, di casa alla Marvel) ci tratta come bambini. Inoltre ha inspiegabilmente vestito addosso ad Hardin un ruolo identico a quello di Gaal. Nel frattempo di Gaal si perdono le tracce, fino a ritrovarla verso la fine della serie al centro di un'ulteriore storia parallela, inutile e forzata, dove si anticipano informazioni cruciali per il seguito (la Seconda Fondazione, l'apparizione di Seldon) in modo come minimo controproducente, ma anche di cattivo auspicio per chi sa come dovrebbero andare le cose.
Il finale tenta di riportare tutto questo squilibrio al pettine, strizzando molti occhiolini, e non basta il sorriso autocompiaciuto del Deus-ex-Seldon a farci digerire tutto ciò che abbiamo visto. Ora, il mezzo televisivo e il pubblico nei nostri giorni sono ben diversi da quelli in cui nasceva la visione di Asimov. Apportare modifiche in un adattamento è sacrosanto: si chiama appunto adattamento. Ma queste modifiche vanno apportate mantenendosi fedeli allo spirito originale, cosa che ci ha insegnato Peter Jackson con Il Signore degli Anelli, il cui successo è stato cruciale per aprire la strada a prodotti come questo ancora oggi. Va benissimo attualizzare e contestualizzare personaggi ed elementi della storia, incastrarli in modo consono al formato seriale. Non va affatto bene stravolgere gli eventi trainanti di una storia così iconica. Soprattutto se, dall'altro lato, si dimostra di avere idee perspicaci in grado di arricchire bene il materiale originale.
C'è da augurarsi che Goyer abbia consultato il rating degli episodi su IMDB e imparato la lezione per condurre la stagione 2 con maggior saggezza, ricordandosi che dovrebbe essere la psicostoria a tirare le fila, non i supereroi.
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