TULLIO AVOLEDO: FURLAND (LA STORIA SI RIPETE COME FARSA)
Francesco Salvador è un tenente nazista di Kosakenland ’44, ovvero una delle Attrazioni che costituiscono il Friuli del 2023, fondato e tutt'ora governato dall'Amabile Leader Vittorio Volpatti. Dopo essersi dichiarato indipendente, il Friuli si trasforma in un parco divertimenti diviso in varie Attrazioni, ciascuna delle quali rimette in scena un'epoca del passato. Così nasce Furland, dove quindi potete rivivere il 1944 nazista, la Trieste asburgica della Belle époque, una Aquileia di epoca romana, una Cividale longobarda e persino i villaggi celtici con tanto di druidi sui monti della Carnia.
Gli Ospiti, ovvero gli abitanti, vivono secondo usi e costumi dell'epoca, e possono accedere a tecnologie o alla medicina moderna, quindi anacronistica, soltanto in caso di estrema gravità. E ogni giorno arrivano i Visitatori paganti, che mantengono vivo il parco.
Tutto funziona, apparentemente. Finché un misterioso tizio vestito da Zorro irrompe a rovinare le scene d'epoca che i visitatori stanno guardando e filmando coi loro smarpthone. Entra quindi in gioco il tenente Salvador: come tutti gli antieroi che si rispettano, un po' perché vuole fare il suo dovere, un po' perché manovrato da altri, un po' perché comincia a nutrire dei sospetti, si mette sulle tracce di questo sabotatore e finisce per scoprire le tremende verità dietro a Furland e Volpatti.
Quella di Furland è una fantascienza travestita da qualcosa di simile al racconto popolare. Il testo è scritto in prima persona (narrato dal punto di vista del protagonista) e in effetti è facile immaginarselo letto dalla voce smaliziata di Avoledo stesso, magari seduti attorno a un falò. Furland è un romanzo che non ha bisogno di rinunciare alla dimensione (spirituale, ancor prima che geografica) del "popolare", del "nostrano", per raccontarci una cruda ucronia. Ma vale anche il contrario: non ha paura di "sporcarsi le mani" col genere per trasmettere una storia che possa piacere e coinvolgere tutti, anche il lettore medio od occasionale.
Avoledo gioca un po' con quei sapori locali che sono anche delle astuzie narrative, e che permettono al lettore italiano (non necessariamente friulano) di sentirsi a casa. Per capirci, quel genere di aggancio tra realtà e fiction che si basa su elementi percettivi di luoghi e sapori, dettagli vissuti sia dall'autore che dal lettore, che quindi stabiliscono una connessione. Insomma quelli che hanno fatto la fortuna dei romanzi di Montalbano. Suppongo che se un americano leggerà Furland non lo capirà granché: non ha vissuto (e forse nemmeno studiato...) i capitoli di storia di cui parla il romanzo.
Avoledo flirta da sempre con generi come fantascienza, thriller e noir. Quando dico che si tratta di fantascienza mascherata, non lo dico per suggerire che l'autore abbia fatto una scelta volontaria di mimetizzare il lato più di genere, come se si vergognasse. Credo semplicemente che il suo stile e i suoi intenti, in questo libro, vadano in una direzione oggi molto frequente: affrontare certi argomenti o denunciare certe ideologie significa inevitabilmente "prendere a nolo" alcuni dei mezzi narrativi ben rodati che la fantascienza ci fornisce da un secolo.
Se si vuol parlare di nuove forme politiche radicali e totalitarie, immaginando a cosa potrebbero portare, o se si vuol parlare di mercificazione e spettacolarizzazione, forze dominanti del presente, come fa qui Avoledo, allora sarà fisiologico accostarsi alla fantascienza. Ho notato la stessa cosa in un altro libro italiano degli ultimi anni che mi è capitato tra le mani: Rossa di Chiara Rapaccini.
Tornando a Furland... In questa gigantesca Gardaland della Storia, la cosa che più di tutte appare ironica è che non sono le atrocità del passato a venire alla luce. Ci dimentichiamo dopo poche pagine che Salvador "lavora" come tenente nazista, perché non ragiona affatto come ci aspetteremmo che ragioni un tenente nazista. A emergere da subito è invece la meccanica perversa e paradossale del presente di Furland. Una regione che, dopo una non meglio specificata guerra per l'indipendenza, per sopravvivere si è convertita in un'azienda con tanto di azionisti. L'azienda ha scelto di investire in un parco divertimenti a carattere storico, alzando una barriera invalicabile tutt'intorno.
La gente di Furland vive un eterno presente in cui si flirta con la storia, con un passato dignitoso o vergognoso, ma comunque conosciuto e in qualche modo desiderato e legittimato, perché il passato è sempre qualcosa che finiamo per idealizzare. E il resto del mondo, oltre il confine, non ha più nessuna importanza. C'è un punto nel romanzo in cui uno dei personaggi chiede a un altro: mentre facevi il nazista nella tua attrazione, hai mai sentito il bisogno di sapere come andavano le cose fuori? No, risponde l'altro. Certo: è molto meglio vivere all'interno di un set, una farsa, dove tutto è una sceneggiatura già scritta e persino le inclinazioni individuali più perverse, se trovano la giusta collocazione storica, sono concesse e legittimate.
Meglio incassare i biglietti di ingresso degli Onorevoli Visitatori, che fotografano compulsivamente tutto ciò che vedono, senza fermarsi a chiedersi se le condanne a morte a cui assistono siano reali o solo una messa in scena. Nemmeno gli attori lo capiscono più: i personaggi del libro sono stati completamente inglobati da questa gigantesca spettacolarizzazione di una storia che un tempo è stata reale e ora si ripete come farsa... per usare le parole di Karl Marx, piuttosto adeguate a Furland.
All'inizio del libro si incontra qualche paragrafo troppo "spiegato", dove il narratore vuole raccontare come si è giunti a una certa cosa, provocando (almeno così ho avvertito io) una pausa dell'immedesimazione. Ma andando avanti questi episodi vanno a esaurirsi, quando il lettore è entrato perfettamente nel contesto, e comunque non pesano più di tanto essendo il libro piuttosto conciso. Credo che il suo unico difetto sia proprio l'eccessiva brevità: finisce troppo presto, in modo troppo semplice. Dopo aver messo in piedi uno scenario così variegato e accattivante, che ben si presterebbe a un tomo da cinquecento pagine, io avrei continuato volentieri a leggere.
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