CHERNOBYL: LA MINISERIE
La notte del 26 aprile 1986 la città ucraina di Pripyat viene illuminata da un potente bagliore proveniente dalla centrale nucleare di Chernobyl: è appena avvenuta l'esplosione del reattore 4 della centrale durante un test di sicurezza. Nell'incredulità generale, soprattutto da parte del personale della centrale, vengono chiamati i pompieri a spegnere l'incendio, che inizialmente sembra il pericolo maggiore. Iniziano subito a manifestarsi i sintomi dovuti alle radiazioni e alla grafite (che ricopriva il nocciolo) presente sul terreno circostante.
Si è parlato molto di questa miniserie di produzione HBO che racconta il disastro nucleare ucraino del 1986. Come mi è già capitato di sottolineare in altri post dedicati a serie tv, oggi stiamo assistendo a un fiorire di produzioni televisive di livello molto alto, degno del miglior cinema (paradossalmente molto più che al cinema, dove in linea di massima si preferisce spremere oltremisura i franchise di successo).
Chernobyl è un altro esempio di questa entusiasmante tendenza. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio film di sei ore che colpisce proprio per la sua eccellenza. Pensate a quanto sarebbe stato facile, in mano ai produttori sbagliati, trasformare la cronaca di Chernobyl in un dramma basato sull'immediata facilità della lacrima, del sensazionalismo e della retorica.
Per fortuna non è così. La storia di Chernobyl e dei suoi protagonisti ci viene raccontata con dovizia di dettagli e un intento riflessivo, giornalistico, che non si appesantisce di inutili orpelli evitando un'inopportuna spettacolarizzazione.
Chernobyl riesce così bene, e ci atterrisce così tanto, perché ci racconta la storia nuda e cruda. Nonostante provenga dall'HBO, non concede nulla al facile appeal commerciale (a cui ci hanno abituato certi format post-Games of Thrones) e non risparmia nessuna delle sue terribili cartucce.
Le vicende raccontate si basano resoconti degli abitanti di Pripyat raccolti dalla scrittrice Premio Nobel per la letteratura Svetlana Alexievich nel libro Preghiera per Chernobyl e sul saggio Chernobyl 01:23:40 di Andrew Leatherbarrow.
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