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KING: LA SCATOLA DEI BOTTONI DI GWENDY (2017), IL TENTATORE SI AGGIRA PER CASTLE ROCK



Per dimagrire, Gwendy, un'adolescente di Castle Rock, tutti i giorni si fa una corsa lungo una scala che porta sulla cima di un'altura. Lì un giorno incontra Richard Farris, un uomo strano che le consegna un oggetto altrettanto strano: una scatola di legno con dei bottoni e un cassettino. Se ne preme uno, nel cassettino trova dei cioccolatini che l'aiutano a dimagrire grazie a un senso di sazietà. Se ne preme un'altro, trova degli antichi dollari d'argento di grande valore. Farris non le dice chiaro e tondo a cosa servono gli altri, ma portano i nomi dei continenti. Poi ce ne sono uno rosso e uno nero. Gwendy si rende presto conto che i bottoni fanno accadere ciò che lei pensa. Quelli dei continenti potrebbero causare la loro distruzione. Quello nero... la fine di tutto. Gwendy cresce e intanto cerca di sfruttare solo le cose buone che derivano dalla scatola, o quasi... Finché un giorno ritrova Farris in casa sua: Gwendy non è più la custode della scatola, che deve passare nelle mani di qualcun altro.
La scatola dei bottoni di Gwendy è un racconto lungo che è stato pubblicato, per evidente scelta commerciale forse dovuta alla presenza di due autori, sotto forma di romanzo. Non è chiaro dove finisca il lavoro di Stephen King e inizi quello di Richard Chizmar, co-autore di questo modesto volumetto, dal momento che la storia è King al 100%.


L'aspetto più sorprendente di questa simil-fiaba è che non va nella direzione che ci si aspetta quando veniamo a sapere del potere dei bottoni. Quello che il Fedele Lettore si aspetta, abituato ai trabocchetti del ben noto Richard Farris/Randal Flagg, antagonista ricorrente nel multiverso kinghiano nonché eccezionale figura di trickster moderno, è che Gwendy si lasci sedurre dal potere della scatola e ne assaggi le potenzialità devastanti, decretando la fine del suo mondo (uno dei tanti messi a ferro a fuoco da Flagg). Invece non succede: Flagg sceglie Gwendy per la sua anima buona, forte e decisa, come se lui fosse un agente del bene piuttosto che un demone tentatore e Gwendy un prezioso alleato anziché una vittima e una pedina dei suoi piani.
Certo, noi che sappiamo cosa ha combinato Flagg in altri mondi (La Torre Nera, L'ombra dello scorpione, Gli occhi del drago), siamo certi che avrà i suoi interessi se intende proteggere il livello della Torre in cui Gwendy vive. E non saranno interessi così innocenti... Ma non li conosciamo: a King e Chizmar non interessa questo genere di storia. I due autori si limitano a questa piccola fiaba incentrata sulla vita di una ragazza che ha per le mani qualcosa più grande di lei, un talismano di cui aver paura e che la costringe a mettere a dura prova la propria forza di volontà, analogamente a Frodo con l'Unico Anello. E Gwendy, che cerca di trarne sempre e solo il minimo necessario, ne esce come un'umile vincitrice, forse l'eroina più umile in tutta la bibliografia kinghiana.


E poi c'è Castle Rock, sullo sfondo. La vicenda poteva essere ambientata dovunque ma l'iconica cittadina kinghiana (teatro di altre vicende: La metà oscura, La zona morta, Cujo, Cose preziose) è certamente stata scelta per accrescere la magia, far sentire a casa il lettore e, per la prima volta (almeno credo, se la memoria non mi tradisce), inserire esplicitamente Castle Rock tra gli spazi/tempi nei quali si aggira Flagg.
Detto ciò, il risultato finale sta un po' troppo dalle parti di una facile occasione di nostalgia mirata al Fedele Lettore: è un libro piacevole dalla prima all'ultima riga, ma non c'è molto più di questo e non è una tappa necessaria nel percorso kinghiano. A mio parere a penalizzare il risultato è soprattutto la pubblicazione in formato romanzo, quando avrebbe fatto miglior figura in una raccolta di novelle. Oltretutto, anche la prossima uscita del Re, Elevation, sarà una novella di simile lunghezza (anzi, cortezza) ancora ambientata a Castle Rock. Pure questa uscirà in edizione romanzo. Non era meglio aspettare un po' e realizzare una bella antologia di novelle come Notte buia niente stelle, Quattro dopo mezzanotte, Stagioni diverse, magari interamente incentrata sulla cittadina? Qui non c'è nemmeno la scusante dell'esperimento editoriale come fu per Colorado Kid (giallo/pulp in formato pocket), Il miglio verde (6 volumetti con pubblicazione seriale), The Plant (tra i primi ebook).

 

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Commenti

  1. Non la penso così: credo che La scatola dei bottoni di Gwendy si legge in fretta, forse troppo in fretta. L’impressione che rimane a fine lettura è quella di aver dissotterrato la sommità delle radici di una storia che è un peccato non poter approfondire. Scorgiamo la punta dell’iceberg che rompe la superficie, ma non il corpo, ben più mastodontico, che affonda nelle profondità del mare. Esistono romanzi di cui non vorremmo mai vedere la parola fine, ma quando, volenti o nolenti, tagliamo infine il traguardo, abbiamo la sensazione di aver concluso il percorso, di aver chiuso il cerchio e di aver corso tutti i metri da percorrere. La scatola dei bottoni di Gwendy fa rodare i motori con un what if…? di quelli da tenere il naso incollato alle pagine, ma accelera ingranando la sesta con un’eccessiva fretta di arrivare alla fine, che nell’edizione inglese giunge in poco più di un centinaio di pagine. È l’embrione di quello che sarebbe potuto diventare un bellissimo romanzo, se sviluppato oltre lo stato di bozza nel quale è stato abbandonato e rilasciato al grande pubblico. Si rimane insoddisfatti, ecco, come dopo un assaggio. Sebbene non sia un difetto grave, priva la storia del voto perfetto che si meriterebbe.
    Il magnifico crescendo di tensione e la ricerca dell’horror (e anche un pizzico di sadismo, temo) ci spingono a desiderare che Gwendy metta a profitto il potere distruttivo della scatola, ma il bottone nero, per esempio, che la ragazza si rifiuta di toccare paragonandolo a un cancro, non viene mai sfruttato, perché langue solo il tempo di alcune frasi nella mente della protagonista. L’elemento horror cresce di pagina in pagina, come una tempesta che si avvicina all’orizzonte lasciando presagire un finimondo di fulmini e onde anomale, ma sulle note finali è come se si assopisse: il cielo si sgombra a dispetto delle aspettative che ci siamo costruiti e il finale ci abbandona in acque in clima di bonaccia.
    Non credi sia così?

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    1. Bel commento, anche se credo che Flagg sia già stato usato abbondantemente, come idea, in contesti più complessi e con risultati migliori. Forse non rimane più molto da dire. Meglio trovare altre incarnazioni del maligno (poi però è uscito The Outsider, che personalmente ho trovato orribile, e ti viene voglia di tornare alle vecchie glorie...)
      Ho visto che il tuo commento è tratto da questa rece: https://lalepismalibraia.it/2018/02/27/recensione-la-scatola-dei-bottoni-di-gwendy-di-stephen-king-e-richard-chizmar
      Sei l'autrice?

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    2. No, Anon non è l'autrice, perché l'autrice sono io (potrei anche essere sonnambula, però, non lo escludo).
      L'analisi del traffico di Search Console mi ha trasportata qui e in parte ne son contenta perché la tua recensione apre scorci su questioni che non avevo ancora preso in considerazione. Condivido la delusione di The Outsider, di cui leggo solo parlare male. Chiudo la fugace retata con un invito per l'Anon di farsi un'opinione personale delle opere che commenta, anziché appropriarsi a piene mani di quelle altrui. *inserire facepalm a piacere*

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    3. Ciao Lucia, che dire, non tutto il male vien per nuocere. Mi fa piacere se il mio sito ti è piaciuto. Torna a trovarmi! Presto posterò una rece completa di The Outsider, di cui hai già capito che parlerò in termini non molto entusiastici...

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