KING: THE DOME (2009), LA STORIA UMANA È UN SADICO MASSACRO
Il caso di Under The Dome (in italiano
solo The Dome) è tra i più interessanti degli ultimi anni. Le
premesse del romanzo e alcuni suoi elementi hanno suscitato un grande
interesse da parte del pubblico e della critica. Al successo del
libro si deve la veloce trasposizione televisiva, per quanto essa
prenda subito le distanze dall'intreccio originale, diventando
qualcosa a sé stante. Le radici del libro, svelate dallo stesso
King, affondano in un tentativo incompiuto intitolato The Cannibals
alla fine degli anni 70, ma The Dome con i cannibali non c'entra
proprio niente. Quello che poteva essere un horror “prima maniera”
si è trasformato in un thriller sociologico (non mi viene in mente
miglior definizione) del XXI secolo. King ha spesso trattato di
piccole comunità nordamericane in crisi, dove le persone tirano
fuori il lato migliore o peggiore di sé, ma mai come in The Dome
questo tema è portato al parossismo, cause ed effetti sono
estremizzati e diventano l'unico, vero cuore della vicenda.
Soprattutto in quanto non vi sono demoni a scatenare la crisi, ma un
fatto concreto e visibile dal mondo intero, pur restando
inspiegabile.
Ci sono un pro e un contro piuttosto
grossi, in questo libro. Il pro, come sostenuto da coloro che lo
hanno elogiato, è che King ha scritto un romanzo post-11 settembre
che è una parabola del mondo di oggi, non solo americano ma globale.
Uno spaccato psicologico sui comportamenti in situazioni ordinarie e
straordinarie. Un trattato filosofico sul bene e il male non come
poteri sovrannaturali, ma come sentimenti radicati nel profondo di
creature viventi e pensanti; gli esseri umani, in primis, che qui
fanno la parte dei veri “cattivi”, ma anche gli esseri ignoti ed
extraterrestri artefici della cupola, che invece si rivelano essere
solo ingenui bambini capaci di un atto di pietà non appena gli si fa
presente che il loro è un gioco sadico. In questo sta una bella
morale, che toglie ogni dubbio sul finale, secondo alcuni, a perdere
e semplicistico; King ci fa sottilmente capire che noi non saremmo
altrettanto bravi e compassionevoli, se le formiche iniziassero a
urlare e pregarci di smettere di bruciarle con la lente. I fatti
narrati in The Dome sono quelli che ci facciamo da sempre tra noi,
tra singoli individui così come tra nazioni e culture. Come ci massacriamo fino all'autodistruzione. Una critica al
mondo occidentale, persino alla storia umana sin dall'alba dei tempi, che arriva con puntualità politica, nel 2009, e
porta il romanzo all'attenzione del pubblico.
Il contro è strettamente letterario o
kinghiano. Si ha la sensazione che le oltre 1000 pagine siano
assolutamente troppe: a un certo punto, come in una soap troppo
intricata e prolissa, si perde il filo dei personaggi, ci si disperde
nella miriade di dettagli narrativi che non vengono al punto. Il
crescendo verso il finale, la scoperta della fonte della cupola,
arriva in sordina, dopo centinaia di pagine di azioni, dialoghi e
pensieri. La cronaca di King minuto per minuto è efficace all'inizio
ma poi, pur essendo sempre ben scritta, porta il lettore alla
disperazione. Rileggerlo una seconda volta è assolutamente
impossibile: ci ho provato, e a mio avviso (da Fedele Lettore) questa
è una mancanza insolita ma anche grave, perché i romanzi di King
normalmente chiamano a gran voce, sullo scaffale sono vivi. Di certo
è l'opinione personale a mettere l'ultima parola in questo caso, ma
la critica all'eccessiva lunghezza è stata mossa in molti dei pareri
che ho letto, e questo mi fa pensare di non essere nel torto (va
anche detto che è una critica mossa spesso a King e di solito non è
giustificata: forse gli unici casi giustificati sono The Dome e
Tommyknockers).
La differenza nell'impatto delle 1000 pagine di L'Ombra dello Scorpione, IT, La Torre Nera, o altri che alle 1000 si avvicinano, secondo me è subito evidente. Da cui la difficoltà della prima lettura o l'impossibilità di una rilettura. Mentre tutti gli altri romanzi “epici” kinghiani spaziano in una vastità di scenari e temi che alimenta la storia stessa, e di conseguenza la lettura, The Dome somiglia a un unico, lunghissimo atto teatrale, una mono-ambientazione e una mono-situazione che suscitano nel lettore lo stesso sfinimento provato dai personaggi. Quando si finisce il libro, non se ne può più. Dopotutto c'è una cupola che imprigiona una cittadina e la claustrofobia narrativa è forse qualcosa a cui King ha mirato.
In ogni caso, The Dome è la fiera dei
suoi personaggi più classici. In questo, pure, c'è un pro e un
contro: il pro è che i cattivi sono bastardi come non mai, e i buoni
sono fieri e cazzuti come non mai (sempre in nome
dell'estremizzazione). Il contro è che pare di sapere già come
andranno le cose, è un po' come tornare nel proprio quartiere dopo
molti anni e sapere già le facce che si incontreranno. Niente di
nuovo sotto la cupola, da questo punto di vista. Ci sono tutti:
l'ex-soldato bello e orgoglioso, la giornalista sexy e astuta, il
buon vecchio poliziotto che ci lascia le penne, i ragazzini disposti
alla fede e al coraggio, la bambina con visioni di presagio, la
coppia eroica e amorevole, il poliziotto sull'orlo del suicidio, la
ragazza-madre complessata, il reverendo pazzoide, la ghenga
spaccaossa del sindaco, il figlio malato e ultraviolento del sindaco,
e infine il sindaco stesso – uno dei migliori bastardi di King –
imbonitore, ipocrita, piazzista d'auto usate, produttore di droga e
pluriomicida. Vista così sembra una galleria trita, ma come sempre
sono stereotipi che servono per farci sentire a casa, per traslare la
vicenda in qualsiasi contesto, e sono di fatto il terreno fertile che
King va a concimare con dovizia di particolari. Li rende reali: essi
decidono i destini della comunità di cui sono parte, un tiro alla
fune all'ultimo sangue. Il destino, in realtà, non dipende da loro,
o meglio è deciso da coloro che apparentemente hanno minor peso, gli
“ultimi”, meno distratti dalle faccende frivole, laddove i
“primi” raccolgono poi ciò che hanno seminato. Su questo King
non smentisce la propria indole di cantastorie e di cristiano: è
ovvio sin da subito che la punizione arriverà per chi se la merita,
sebbene un'intera città ne farà le spese, nulla sarà indolore e
fino alla fine l'uomo sarà impotente, potendo solo confidare in una
benevolenza superiore.
Ci si può leggere, ovviamente, una
riflessione religiosa, anzi umana in senso lato. L'universalità dei
temi e dei simboli è la cosa migliore di The Dome (lo è di King, da
sempre): la sua interpretazione all'interno di qualsiasi tempo o
cultura è un passaggio obbligato per il lettore, è quello che
rimane una volta chiuso il libro. Un sapore sulla lingua che ha del
biblico. Però, ahimé, è dura arrivarci in fondo questa volta.
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