PEARL JAM 2013: LIGHTNING BOLT
Se con Backspacer la avevo
considerata un abbaglio, con Lightning Bolt devo purtroppo
ammettere che la tendenza discendente dei Pearl Jam è iniziata, e
duramente anche. Prendiamo i singoli degli ultimi tre album (in 7
anni) e mettiamoli a confronto: “World Wide Suicide” eccellente
(dall'omonimo disco del 2006, l'ultimo capolavoro), “The Fixer”
passabile (da Backspacer, 2009), “Mind Your Manners”
indecente (da Lightning Bolt). Il nuovo album dei Pearl Jam
arriva dopo 4 anni e purtroppo ripete, o peggio supera, il mezzo
fallimento del precedente. Non perché la band non sia più in gamba
o Vedder non ci regali emozione, ma perché scarseggiano idee ed
atmosfere. Proprio come Backspacer, l'album parte con brani
più che dimenticabili, tre rock insipidi o addirittura irritanti, e
una ballad banale, roba che potrei ascoltare da qualunque altra band
di passaggio su MTV. Da “Getaway” a “Sirens” non c'è niente
che invogli a metter su Lightning Bolt piuttosto che uno
qualsiasi dei vecchi album.
Fortunatamente il fallimento è solo
mezzo, perché poi appaiono alcuni numeri decisamente migliori.
“Lightning Bolt” (unica title-track della storia della band)
ricorda “The Fixer”: non è niente di nuovissimo ma lo stile PJ
confeziona bene la canzone, con una serie di cambi interessanti. Il
meglio arriva al centro dell'album: già dal primo ascolto sono due i
brani che rimangono impressi, e che non avrebbero sfigurato in dischi
del passato: “Infallible” e “Pendulum”, che ribadiscono –
in caso ce ne fosse bisogno – che è la creatività musicale di
Stone Gossard e Jeff Ament a trainare i PJ. “Pendulum” in realtà
era stata portata in studio già per Backspacer. Si
prosegue con due pezzi che, nuovamente, non hanno grande impatto ma
si assestano bene nella continuity della band, in particolare “Let
The Records Play” un ritmico rock-blues anni '70 firmato da Vedder.
La serie di brani
in chiusura fa da controparte all'apertura: quella era “cattiva”
e bruttina, questa è acustica e bellina, ma entrambe sono
francamente inutili. “Sleeping By Myself” è la frizzante
rilettura della band del pezzo di Vedder apparso in Ukulele Songs.
“Yellow Moon” è la migliore delle tre, un'ottima confezione per
una canzone che è sfacciatamente un omaggio a Neil Young (a cui, tra
l'altro, l'intero album è dedicato) e alla storica “Helpless”.
Infine “Future Days” è uno di quegli inni a firma Vedder che
stanno bene in chiusura, e va preso così com'è, né più né meno.
Non c'è una hidden track.
Ci troviamo di
fronte a un album che non vale assolutamente l'attesa di 4 anni, alla
stregua del precedente, privo della “brezza oceanica” che
caratterizzava la parte migliore di Backspacer, ma con almeno
due canzoni di più alto livello. Gli altri sono brani che scorrono
piacevoli e già sentiti – come quando si ascolta la radio senza
pretese. Poi ce n'è qualcuno – concedetemi almeno “Mind Your
Manners” – che si salta a piè pari. Facendo un collage tra le
parti migliori di Lightning Bolt e di Backspacer, ne
uscirebbe un album buono al livello di Yeld.
Out-takes.
Una
parte dei brani di Lightning Bolt è
stata registrata la prima volta nel 2011. Dovrebbero essere:
“Sleeping By Myself”, “Pendulum”, “Sirens”, “Infallible”,
“Swallowed Hole”, “Yellow Moon” e “Olé”, questa diffusa
poi sul sito ufficiale (vedi Pearl Jam Twenty).
Vere
out-takes al momento non sono conosciute, ad esclusione delle demo
che i diversi componenti della band hanno inizialmente portato per
estrarre le canzoni da incidere.
L'Xmas
Single 2012 contiene due take live
di “All Night” e “Moonlight” (vedi Lost
Dogs).
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