SIMAK: LA BAMBOLA DEL DESTINO (IBRIDARE FANTASY E SCIFI PER UNO SCOPO COMUNE)
La bambola del destino (1971)
non si può considerare appieno un romanzo di fantascienza, eppure è ambientato su un pianeta
alieno. Allo stesso modo non è un romanzo fantasy, ma parla di un pellegrinaggio e vi sono creature fantastiche. A questa ibridazione tra generi Simak ci abituerà da questo momento in poi, in varie opere sue opere successive.
I protagonisti, tratteggiati come delle macchiette, quasi a stereotipo dei ruoli che rivestono, sono alla
ricerca di un leggendario avventuriero cosmico. Durante i vari incontri con le creature che popolano il pianeta sconosciuto su cui atterrano, scoprono inaspettati segreti a proposito di diversi livelli di realtà ed esistenza. Verità difficili da accettare a meno di compiere un estremo atto di fede... un po' come Indiana Jones quando accetta di rischiare tutto nel
“balzo della fede” che lo conduce al Santo Graal.
La genialità di La bambola del destino, a
parte le numerose idee di cui è costellato, sta nel
giocare con la tipica struttura del fantasy d'avventura con tutti gli archetipi del caso (qualcuno ripenserà ad Han Solo, Leila e
C3PO di Star Wars, o persino alle loro parodie di Mel Brooks), riuscendo a costruire un'opera che, nel complesso, è davvero di ottimo livello. E poi, dopo tutta questa salsa pseudo-fantasy di contorno, ecco che riemerge il Simak classico con un tema-chiave che, oltre a fare da sostegno alla storia, si apre alla filosofia pura. L'autore ritorna infatti su un tema
già affrontato in precedenza (Oltre l'invisibile,
L'anello intorno al Sole): la possibilità di un'esistenza diversa, su un piano a noi ancora sconosciuto, rappresenta il senso supremo e il fine stesso della vita.
La
critica e il pessimismo nei confronti dell'etica e del modo di ragionare della società contemporanea, presenti nelle opere del passato, qui vengono accantonati (sebbene non del tutto: l'irritante cocciutaggine dei protagonisti non sembra un tratto affatto casuale) per far spazio alla messa in scena,
all'esplicitarsi teatrale del significato ultimo. La bambola del destino è un libro da leggere e rileggere per accorgersi che ogni frase esiste in
funzione dello svelamento finale. Paesaggi e azioni hanno soprattutto valenza simbolica, la suggestione fa da padrone e l'epilogo è la soluzione che racchiude il significato supremo, obiettivo comune della narrativa dell'immaginazione.
C'è poi tutta quella costellazione di idee a contorno, anche solo accennate, che lo rendono un romanzo simakiano tout-court: per esempio gli alberi come “antenne” per captare la conoscenza sparsa
tra le civiltà dell'universo, i loro semi custoditi da animaletti, l'eden-trappola, le assurde creature che popolano la città bianca, e naturalmente la bambola-simbolo che viene trovata dai visitatori. Un mosaico che Ugo Malaguti (curatore dell'edizione Elara) paragonava al mondo oltre lo
specchio di Alice e che trova un parallelo, il suo “altro lato
della medaglia” a detta dello stesso Simak, nel successivo I giorni del silenzio, altro grande romanzo del decennio.
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