EUGENE PAULY E IL CICLO DELL'ABITUDINE
C’era una volta Eugene Pauly, un uomo ricoverato nel 1992 per una encefalite virale che gli aveva cancellato qualunque ricordo successivo al 1960 e precluso la capacità di formare nuovi ricordi. Nel cervello di Eugene, il virus aveva distrutto il lobo temporale mediale, la regione associata alla memoria: non riusciva a ricordare niente per più di qualche minuto, nemmeno la sua età.
Eugene però dimostrava di conoscere ancora le sue abitudini, acquisite prima della malattia, e di apprenderne di nuove. Sapeva trovare il bagno sebbene non ricordasse la pianta di casa sua. Faceva passeggiate nel suo quartiere e tornava a casa senza perdersi, pur non riconoscendo la sua abitazione. E, senza rendersene conto, ripeteva alcune azioni più volte al giorno alla presenza di un segnale di stimolo, ad esempio preparare la colazione se c’era la luce del mattino.
Uno dei personaggi del film Memento, esordio del regista Christopher Nolan, sembra ricalcato proprio su Eugene Pauly ed è probabilmente la rappresentazione più famosa di questo disturbo.
Lo studio del comportamento di Eugene dimostrò che la formazione delle abitudini avviene in una parte del cervello differente da quella deputata alla memoria.
Il nostro cervello è come una cipolla: gli strati più esterni sono quelli acquisiti più di recente dal punto di vista evoluzionistico, la sede dei pensieri più complessi. Nelle aree cerebrali profonde, prossime al tronco encefalico, risiedono le strutture più antiche e primitive, l’origine dei comportamenti automatici (la respirazione, la deglutizione, la paura che ci avverte del pericolo). È lì che si trovano i gangli della base, un nucleo grande quanto una pallina da golf.
Gli studi, condotti anche su cavie da laboratorio, evidenziarono l'importanza dei gangli della base nella formazione delle abitudini. I ratti, nel percorrere più volte lo stesso labirinto per arrivare a una ricompensa, mostravano una progressiva diminuzione dell'attività cerebrale. Di contro, i gangli della base prendevano il controllo del comportamento, ormai automatizzato. Questo processo, chiamato chunking (acquisizione di unità di informazione), consiste nella trasformazione di una sequenza di azioni in una routine automatica, e a compierla sono i gangli della base.
Lo stesso meccanismo era all'opera in Eugene, così come in tutti noi, nella nostra vita quotidiana. È il motivo per cui spremiamo il dentifricio sullo spazzolino prima di iniziare a strofinarcelo sui denti, senza fermarci a pensare di doverlo fare: lo facciamo e basta. È quella che chiamiamo azione automatica, esattamente come uscire dal garage in retromarcia: se guidiamo e abitiamo lì da tempo, lo facciamo a occhi chiusi.
La formazione delle abitudini segue un ciclo a tre fasi:
1. Segnale: lo stimolo che innesca l'abitudine (un’immagine, un suono, un’emozione, la presenza di determinate persone). Il riconoscimento del segnale rappresenta un picco dell’attività cerebrale, lo sforzo iniziale necessario affinché i gangli capiscano che possono innescare l’abitudine (e quale).
2. Routine: l'azione (o sequenza di azioni) che costituisce l'abitudine. Qui il controllo passa ai gangli della base.
3. Ricompensa: il beneficio ottenuto dall'esecuzione della routine, che rafforza l'abitudine. Corrisponde a un secondo picco di attività in cui il cervello verifica che tutto sia andato secondo le aspettative.
Questo ciclo, ripetuto nel tempo, consolida l'abitudine rendendola automatica.
Ma perché esiste questo meccanismo? Semplice: il cervello trasforma le azioni ripetute in abitudini per risparmiare energia e liberare risorse cognitive per altri compiti. Ecco perché mentre ci laviamo i denti possiamo già programmare la giornata lavorativa, o mentre manovriamo fuori dal garage possiamo goderci la canzone alla radio o essere in chiacchiera con il nostro passeggero. Non come la prima volta, che abbiamo sudato freddo e pure grattato lo specchietto… dai e ridai, siamo diventati esperti.
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Memento (2000) |
Le abitudini sono potenti ma anche suscettibili a cambiamenti. Nel caso di Eugene, bastava una piccola variazione nei segnali per interrompere le sue routine. Se durante le sue passeggiate incontrava lavori stradali, si perdeva. Se sua figlia si fermava a parlare un po’ con lui prima di uscire, la sua abitudine di arrabbiarsi nel vederla andar via non si manifestava.
La consapevolezza delle abitudini ci dà il potere di crearle, modificarle e sfruttarle per migliorare la nostra vita. Perché non c’è niente di più facile che subire un’abitudine: col tempo il ciclo diventa sempre più automatico, il segnale e la ricompensa iniziano a confondersi, e si innesca un senso di aspettativa. Ecco che il bisogno ci può rendere schiavi di un’abitudine. Non a caso, la creazione di alcuni dei più famosi bisogni di massa corrisponde di fatto alla creazione di abitudini individuali. Molto prima degli studi neurologici su Eugene Pauly, era già chiaro come coltivare e diffondere le abitudini a scopo commerciale, per vendere prodotti e servizi.
Continua.
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