LABIRINTI DI TEMPO, MEMORIA E IDENTITÀ: JORGE LUIS BORGES
Cosa ho letto di Borges per poter scrivere questo post, in ordine di rilevanza: Finzioni, L'Aleph, Elogio dell'ombra, Il libro di sabbia, Storia dell'eternità, Fervore di Buenos Aires, Storia universale dell'infamia. Potete anche limitarvi ai primi quattro, ma quelli dovete leggerli. Meglio se due volte.
Cos'è l'opera di Borges in due righe.
È un invito a confrontarci con i grandi misteri dell'esistenza. Il potere del linguaggio, del tempo e della memoria sono gli strumenti con cui Borges esplora i limiti umani, propri della nostra biologia, in relazione al concetto di infinito, proprio dell'universo a cui apparteniamo. Se ci rendiamo consapevoli dei nostri limiti, possiamo trovare nel linguaggio e nell'immaginazione la via di accesso a una realtà più vasta.
Come potete intuire, la portata di questi temi è (per usare l'aggettivo borgesiano per eccellenza) vertiginosa. Ora cercherò di andare un po' più a fondo.
Il tempo e l'infinito
Borges è ossessionato innanzitutto dalla sfida dell'infinito, ovvero l'aspirazione umana verso di esso contrapposta alla natura finita del nostro essere. Questa tensione irrisolta, e irrisolvibile, emerge ovunque.
Nella vastità della biblioteca di Babele, nel racconto omonimo, che contiene tutti i libri, e perciò per estensione tutti i mondi, possibili. "L’universo era giustificato, l’universo usurpò bruscamente le dimensioni illimitate della speranza." Ma anziché portare felicità, essa genera smarrimento e disperazione: la ricerca di una spiegazione definitiva alla nostra esistenza diventa un'ossessione destinata al fallimento: "la certezza che qualche scaffale in qualche esagono racchiudesse dei libri preziosi e (...) inaccessibili, sembrò quasi intollerabile."
Nelle teorie metafisiche sull'illusione del tempo degli studiosi di Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, che negano la realtà del tempo, sostenendo che il presente sia indefinito e che passato e futuro esistano solo come memoria e speranza nel presente. "Se lo spazio è infinito, noi siamo in qualsiasi punto dello spazio. Se il tempo è infinito, siamo in qualsiasi punto del tempo."
Nell'irraggiungibilità del messaggio divino in La scrittura del dio: la ricerca ossessiva da parte di un sacerdote chiuso in cella lo conduce alla conclusione che la Sua Parola si nasconda nella cosa più immutabile di tutte: il mutamento stesso. "L'estasi non ripete i suoi simboli."
Nella molteplicità del tempo in Il giardino dei sentieri che si biforcano, un giardino labirintico, rappresentazione del tempo che si divide in infinite possibilità. Altro tema fondamentale è infatti quello della natura lineare del tempo. Borges, attraverso il personaggio di Ts'ui Pên, rifiuta l'idea di un tempo assoluto, surclassata da una visione che oggi definiremmo fantascientifica (e di fatto Borges ne è precursore) di "una rete crescente, vertiginosa, di tempi divergenti, convergenti e paralleli", dove ogni istante è un punto di diramazione verso infiniti futuri e ogni scelta crea una nuova realtà. Ricordate Sliding Doors?
La malinconia che pervade i racconti di Borges nasce proprio dalla consapevolezza di queste infinite possibilità e dalla nostra incapacità di raggiungerle. Ma possiamo imparare ad apprezzare il presente. La poesia Giovanni 1:14 offre uno sguardo diverso: a parlare è Dio dopo essersi incarnato in Gesù Cristo, e ricorda ogni dettaglio della sua esistenza terrena, anche quelli apparentemente insignificanti. Assumendo questa prospettiva, Borges ci spinge a guardare con maggiore attenzione le piccole cose, a dare loro il giusto peso, ad amarle nel presente come ci ritroveremo ad amarle un giorno, quando non le avremo più. Perché niente può tornare per sempre: una volta andato, è perduto.
La memoria e l'oblio
Giovanni 1:14 ci porta alla seconda grande questione borgesiana, ovvero il rapporto tra memoria e oblio, strettamente intrecciato con le riflessioni sul tempo, l'infinito e l'identità.
In Funes, o della memoria, il protagonista può ricordare ogni cosa fin nei minimi dettagli, ma ciò si rivela una condanna. Funes è infatti intrappolato in un presente eterno e statico, incapace di elevare il pensiero oltre a un mero elenco di elementi. Borges esplora qui il paradosso del "dono" di una memoria infinita e assoluta, che impedisce la formazione del pensiero a causa dell'incapacità di generalizzare. "Pensare è dimenticare": solo la possibilità di astrarre e selezionare ci permette di dare un senso al mondo.
Similmente, nel già citato La scrittura del Dio, il sacerdote trova rifugio nei meandri della sua memoria per andare oltre la realtà e trovare il significato ultimo, una Parola di Dio che giustifichi ogni cosa. Un obiettivo irraggiungibile in senso assoluto e al contempo liberatorio per il solo fatto di generare riflessione e astrazione.
Stessa cosa si può dire per lo scrittore condannato di Il miracolo segreto. Tuttavia, questo labirinto di sogni rischia di intrappolarlo e allontanarlo dalla realtà stessa.
Borges sostiene che l'oblio, o meglio la prospettiva dell'oblio, ci permette di trovare un senso in ciò che ci circonda, creando connessioni. Il pensiero è il fondamento dell'atto creativo: l'arte, la poesia, la scrittura, come sfida alla morte e strumento di comprensione.
Da un lato, infatti, abbiamo l'oblio come destino ineluttabile. La caducità umana di fronte all'eternità si manifesta in primis nell'accettazione della morte. Nella poesia Le cose, gli oggetti di cui l'essere umano si circonda in vita diventano i simboli della sua transitorietà, destinati a sopravvivere sia alle sue spoglie fisiche che alla sua memoria. "Non sapranno mai che ce ne siamo andati", scrive Borges.
Dall'altro, però, abbiamo la memoria (limitata e fallace) come matrice della creazione. In Elogio dell'ombra, eternità e vecchiaia si equivalgono, sfumando i confini temporali. La memoria diventa il posto in cui convergono tutti i tempi, i luoghi e le esperienze, permettendo al poeta di trovare un senso compiuto alla propria esistenza.
Dunque, se la memoria ci intrappola nel passato, l'oblio ci permette di creare il domani. Se la memoria ci ricorda la nostra finitezza, l'arte ci offre la possibilità di sfidare il tempo e lasciare un segno indelebile nel mondo. Perché la letteratura attraversa il tempo e lo plasma; sopravvive all’umanità e la plasma (Pierre Menard, autore del Chisciotte; Tema del traditore e dell’eroe). Perché il linguaggio "è tempo successivo e simbolo" (Giovanni 1:14).
La scienza e Dio
Così come un labirinto di sogni può farci perdere il contatto con la realtà, anche l'ostinata ricerca di una formula omnicomprensiva che racchiuda il significato dell'universo può farci scivolare nell'arroganza di vincere la sfida con Dio. Le teorie metafisiche su cui si arrabattano gli studiosi di Tlön, Uqbar, Orbis Tertius sono la voce della (presunta) vittoria del definito sull’indefinito, dell’uomo su Dio, della scienza sull’universo. "Si tratta di un rigore di scacchisti, non di angeli."
Similmente, in La lotteria a Babilonia, si discute l'idea di un gioco a premi che inizia ad ingigantirsi fino a inglobare ogni aspetto della vita, determinando di fatto l’esistenza stessa delle persone. Se la lotteria è al contempo un artefatto e una manifestazione di Dio, ne consegue che Dio è un artefatto inventato per giustificare il caso.
Dando ormai per assodato che la nostra massima ambizione sia quella di trovare il senso delle nostre azioni, così che anche la Storia vada a posto (La biblioteca di Babele; Tema del traditore e dell’eroe; Il miracolo segreto), Borges ci mette in allerta sulla trappola dell'arroganza.
D'altra parte qualsiasi ricerca di una "scrittura di Dio" si scontra con i limiti del linguaggio: ogni parola umana è solo un segmento, un'approssimazione della realtà, mentre la Parola di Dio dovrebbe essere in grado di esprimere la totalità dell'esistenza. Armato di questa consapevolezza, il poeta, secondo Borges, si fa carico di tradurre in qualche modo l'incomprensibile, permettendo di avvicinarci al mistero, con umiltà.
“L’arma nella sua mano maldestra non sarebbe servita a difenderlo, ma a giustificare che lo ammazzassero” (Il sud): così il libro nella sua mano non sarebbe servito a salvarlo, ma a capire perché aveva vissuto.
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Identità e realtà
Prima di Philip K. Dick, sono le opere di Borges a sgretolare qualunque sicurezza su un'identità stabile e una realtà oggettiva, proponendo invece l'idea che entrambe siano soggette a una gamma di interpretazioni e percezioni. Se la continuità del tempo è un'illusione, allora anche l'io che costruiamo attraverso la memoria e l'esperienza è ugualmente illusorio, inafferrabile e frammentato.
La metafora della biblioteca infinita di Babele è eloquente: nella vertigine dell'infinito, nella relatività di ogni prospettiva, l'individuo si smarrisce, incapace di trovare un punto di riferimento che definisca la sua identità. Nel giardino dei sentieri che si biforcano, ogni bivio genera un nuovo percorso, una nuova versione di noi stessi: altra vertigine di possibilità che manda in crisi il concetto di un'identità unitaria.
Per Funes, la memoria ha un ruolo fondamentale nella costruzione dell'io. La sua natura soggettiva, interpretativa e in continuo mutamento, produce un io altrettanto fragile e mutevole. Per il sacerdote in cella, l'esperienza religiosa ed estatica con cui trascende i limiti del suo io individuale porta al suo fondersi con la totalità dell'universo, quindi all'annullamento dell'identità personale.
Agli antipodi del nichilismo, Borges ci sprona verso una ricerca intellettualmente onesta del significato, perché essa, anche se destinata a restare incompiuta, è ciò che definisce la nostra esistenza più di ogni altra cosa. Le sue riflessioni dovrebbero essere per noi una sfida: accettare l'incertezza, vivere nel paradosso, trovare un ordine parziale per la nostra temporaneità.
Indirizzare il pensiero.
E credo che questo sia uno degli insegnamenti più potenti che la letteratura possa darci.
"Non sperare che l’aspro tuo cammino
che ciecamente si biforca in due,
che ciecamente si biforca in due,
abbia fine."
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