J.G. BALLARD - I MIRACOLI DELLA VITA (2008) (PT.1)
James G. Ballard pubblica nel 2008, un anno prima della sua morte, il suo ultimo libro: l'autobiografia I miracoli della vita. In essa ripercorre la propria vita, in larga parte gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza con le esperienze in Cina durante la Seconda Guerra Mondiale, fino alla produzione letteraria che lo ha reso un autore celebre in tutto il mondo anche se abbastanza di nicchia (con la sola eccezione di L'impero del Sole che si può considerare un bestseller).
Vi propongo in due parti gli estratti che ritengo più significativi in merito alla sua poetica, le sue influenze e naturalmente i suoi libri, dove Ballard racconta le esperienze dietro ai testi.
Prima parte (si fa riferimento all'edizione Feltrinelli)
Il romanzo
fiorisce nelle società statiche, che il romanziere può esaminare
come un entomologo esamina ed etichetta le farfalle infilzate su una
bacheca.
Il surrealismo e
la psicanalisi mi fornivano […] un corridoio segreto per un mondo
più reale e più dotato di significato, un mondo in cui i ruoli
psicologici cangianti sono più importanti dei “personaggi” così
ammirati dagli insegnanti e dai critici letterari […].
I pittori
surrealisti erano di grande ispirazione per me, ma non c'era modo
semplice di tradurre in prosa il surreale visivo, specie in una prosa
che fosse leggibile.
Provavo interesse
per la medicina, che mi sembrava avesse qualcosa di affine sia alla
psicopatologia che al surrealismo. […] Penso ancora che quei due
anni di anatomia siano stati tra i più importanti della mia vita e
abbiano contribuito a formare gran parte del mio immaginario. […]
Gli anni passati nell'aula di dissezione […] mi insegnarono che,
anche se la morte è la fine, l'immaginazione e lo spirito umani
possono trionfare sulla nostra dissoluzione. Per certi versi tutta la
mia narrativa è la dissezione di una patologia profonda di cui fui
testimone a Shangai, e poi nel mondo postbellico, dalla minaccia
della guerra nucleare all'assassinio del presidente Kennedy, dalla
morte di mia moglie alla violenza che ha puntellato la cultura
dell'intrattenimento negli ultimi decenni del secolo.
Verso
la metà degli anni cinquanta c'erano una ventina di riviste
commerciali di fantascienza vendute mensilmente in America e in
Canada […], si dedicavano prevalentemente ai viaggi spaziali e a
racconti su un futuro dominato dalla tecnologia. […] Precursori di
Star Trek,
descrivevano un impero americano che colonizzava l'universo intero e
lo trasformava in un inferno allegro e ottimistico, una periferia
americana lastricata di buone intenzioni […]. Per fortuna c'erano
altre riviste […] in cui venivano estrapolate tendenze politiche e
sociali già visibili negli anni del dopoguerra. Il loro terreno di
elezione erano i pericoli che la televisione, la pubblicità e un
paesaggio mediatico tipico dell'America rappresentavano per un
pubblico troppo malleabile. Esaminavano con acutezza gli abusi della
psichiatria e gli inganni di una politica ridotta alla stregua della
pubblicità.
Carnell
[direttore della rivista inglese New
Worlds] mi diceva che la
fantascienza aveva bisogno di rinnovarsi se voleva rimanere
all'avanguardia del futuro. Mi invitava a non imitare gli scrittori
americani, e a concentrarmi su quello che io chiamavo “spazio
interno”, racconti psicologici con uno spirito vicino a quello dei
surrealisti. Tutto questo era invece detestato dai direttori
americani.
Gli anni sessanta
furono un periodo molto più rivoluzionario di quanto i giovani oggi
non credano. […] La musica pop e l'era spaziale, le droghe e il
Vietnam, la moda e il consumismo si mescolavano in una combinazione
elettrizzante e mutevole. […] Le ondate di cambiamento si
susseguivano l'una all'altra, e a tratti sembrava che il cambiamento
diventasse una nuova specie di noia.
Un
altro dei miei suggerimenti venne realizzato dall'ICA, che ingaggiò
una spogliarellista […] perché eseguisse uno spogliarello durante
la lettura di un saggio scientifico. […] Sembra qualcosa di ancora
legato all'autentico spirito di Dada, e anche un esempio di quella
fusione tra scienza e pornografia che in La
mostra delle atrocità ci si aspettava prendesse piede nell'immediato futuro. Molti degli
“esperimenti” immaginari descritti in quel libro, dove gruppi di
casalinghe volontarie vengono esposte a ore e ore di film
pornografici per poi testarne le risposte (!), dopo di allora sono
stati effettivamente condotti in istituti di ricerca americani.
La
mostra delle atrocità fu pubblicato nel 1970, e fu il mio tentativo di dare un senso agli
anni sessanta, un decennio in cui tutto, o quasi, sembrava cambiare
per il meglio. Speranza, giovinezza e libertà erano qualcosa di più
di uno slogan; per la prima volta dopo il 1939 la gente non aveva più
paura del futuro. Il passato dominato dalla stampa aveva ceduto il
passo a un presente elettronico, a un mondo dominato
dall'istantaneità. Al tempo stesso, però, appena sotto la
superficie scorrevano correnti più cupe. La ferocia della guerra nel
Vietnam, il senso di una colpevolezza pubblica che aleggiava
sull'assassinio di Kennedy, le perdite umane nella scena delle droghe
pesanti, il pervicace tentativo della cultura dell'intrattenimento di
ricacciarci nell'infanzia – tutto questo aveva cominciato a
frapporsi tra noi e la nuova alba. […] L'istantaneità consentiva
che avvenissero troppe cose in una volta. Fantasie sessuali fuse con
la scienza, la politica e la celebrità […]. Le nostre fantasie più
oscure spingevano verso la porta semiaperta di un bagno dove Marilyn
Monroe se ne stava totalmente drogata in mezzo alla schiuma che si
disgregava. Questo era ciò con cui tentavo di misurarmi in La
mostra delle atrocità.
E se l'ambiente quotidiano non fosse altro che un gigantesco collasso
mentale? Come avremmo fatto a sapere se eravamo sani o psicotici? […]
Per scrivere La mostra delle atrocità adottai
un approccio frammentario come il mondo che il libro descriveva. La
maggior parte dei lettori lo trovano difficile da capire,
aspettandosi una narrazione convenzionale e lineare, A+B+C, e furono
respinti da tutti quei paragrafi isolati e dalle fantasie sessuali
piuttosto ossessive sui più importanti personaggi pubblici
dell'epoca. […] Negli ultimi anni La
mostra delle atrocità
sembra emergere dall'oscurità, e mi chiedo se l'uso così diffuso di
internet non abbia reso molto più accessibile il mio romanzo
sperimentale. I brevi paragrafi e le discontinuità delle e-mail, i
testi che si sovrappongono e la necessità di spostare rapidamente
l'attenzione da un argomento all'altro, anche senza che ci siano
collegamenti, tutto ciò crea un mondo frammentario simile a quello
delle pagine di La mostra
delle atrocità.
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