KING: IL TALISMANO (1984), IL VIAGGIO INFINITO
Nel 1977 due famosi romanzieri della
letteratura horror, tali Stephen King e Peter Straub, si
incontrarono, strinsero velocemente amicizia e decisero di scrivere
un romanzo insieme. Passò qualche anno e, da una idea venuta a King
quand'era ancora al college, il lavoro di scrittura iniziò a
concretizzarsi. Nel 1984 uscì Il Talismano, poi nominato (tra
gli altri) al World Fantasy Award.
Il Talismano non è un romanzo
horror, sebbene di situazioni horror ve ne siano qui e là. È invece
un romanzo fantasy, sebbene lontano da Tolkien, Brooks od altri
celebrati autori in voga ai tempi. È una quest
epica, nel miglior stile di Stephen King. Premetto che, non
conoscendo le opere di Peter Straub, potrò esaminare il libro
soltanto dal lato kinghiano, che comunque si rivela “strano” ed
evidentemente contaminato dal lavoro di scrittura a quattro mani. Il
libro, stando a quanto si legge in giro, fu scritto tramite un “botta
e risposta” tra i due autori, che si passarono i capitoli a
staffetta, l'uno cercando di imitare lo stile dell'altro, dopo aver
scritto insieme soltanto il prologo e l'epilogo.
Lo stile di
scrittura, infatti, mescola l'immediatezza del primo King con una
prolissità introspettiva che, secondo me, è attribuibile a Straub.
Di fatto, leggendolo oggi, ci ricorda il King più prosaico degli
anni 90 e successivi. In certe parti, va detto, una maggior
immediatezza non avrebbe guastato, ma nel complesso il tono talvolta
catartico con cui si dipana è una delle caratteristiche che rendono
indimenticabile questo libro.
Il Talismano
prende il via con una storia, una di quelle lineari, avvincenti,
intense, classicamente belle: questo libro è
la storia che racconta, le suggestioni che contiene. Non c'è altro:
non ci troviamo di fronte alla rete di sottesi di Shining e
nemmeno alla complessità spaziale di L'Ombra dello
Scorpione. La prima regola del
fantasy è la storia, la cui struttura è ovviamente quella del
viaggio o, meglio, della quest,
la ricerca verso una meta e uno scopo di proporzioni mitologiche.
Jack Sawyer (il
nome rimanda a Mark Twain, ispirazione di entrambi gli autori)
conosce un vecchio garzone di colore, Svelto Parker, da cui apprende
l'esistenza di un mondo parallelo, i Territori, abitato da nostri
doppi (i gemellanti). In questo mondo c'è un potente manufatto, il
Talismano appunto, in grado di salvare i Territori dal caos
imminente. La minaccia che incombe sui Territori è quella della
morte della regina Laura, gemellante della madre di Jack afflitta da
cancro, e dell'importazione di nostre tecnologie ed armamenti da
parte di un imprenditore senza scrupoli, Morgan Sloat. Costui conosce
bene Jack, perché era amico del defunto padre del ragazzo (in
realtà, il suo carnefice). Il Talismano permetterà Jack sia di
salvare la madre, ma anche di salvare un intero mondo. Perché Jack?
Perché lui è sopravvissuto alla morte in fasce del suo gemellante,
Giasone, che nei Territori viene ora menzionato con religioso timore,
al pari di un Cristo in attesa di ritorno. Quindi Jack è, come da
regola fantasy, il prescelto per la sua missione. Lungo la strada
affronta sfide molto dure, ma viene affiancato dagli aiutanti: Lupo,
un gentile lupo mannaro un po' ritardato che vedrà Jack come Giasone
e quindi lo proteggerà a costo della vita, e Richard Sloat, figlio
del “cattivo” ed amico d'infanzia di Jack, che non rinnegherà le
radici della sua amicizia.
Troviamo
molti dei temi tipici di Stephen King in Il Talismano,
abbozzati in altri romanzi del periodo ed esplorati lungo tutta la
sua carriera. È molto semplice individuarli dato che, come detto,
sono comunque al servizio della storia e del puro piacere narrativo.
Andando appena al di là della struttura fantasy, il personaggio di
Jack è il tipico emarginato kinghiano che scopre di essere dotato di
un potere per cui, in un contesto fantastico, diventerà eroe. Jack
in realtà non ha poteri psico-fisici particolari (come i
protagonisti di Shining, L'Incendiaria, Carrie,
L'Acchiappasogni, IT, e molti
altri) ma è unico in quanto privo di gemellante, ha la capacità di
“flippare” ovvero spostarsi da un mondo all'altro, perciò di
determinare il destino dei Territori raggiungendo il Talismano. In
realtà il personaggio più somigliante a Jack, nell'opera di King, è
Roland di Gilead (La Torre Nera),
in crisi per i suoi demoni, il cui unico scopo nella vita è il
raggiungimento della Torre. Il demone di Jack è la solitudine,
l'abbandono, una disperazione fin troppo realistica e attendibile nel
suo personaggio adolescente. È questa, per forza, il motore di
tutto: la sua gentile e bellissima madre non può semplicemente
morire di cancro lasciandolo in un mondo oscuro e ostile.
Comunque,
il paragone con la Torre
è suggerito dallo stesso King, poiché il Talismano ci viene
descritto come “il fulcro di tutti i mondi possibili” che giace
nascosto e protetto in un Albergo Nero, sulla costa ovest dei
Territori. Ergo: il Talismano è un simulacro della Torre, forse
un'altra Torre. E Jack
è un pistolero, l'unico vero altro pistolero (oltre a Roland e al
suo ka-tet) che abbia mai percorso le pagine di un romanzo kinghiano
al di fuori del suddetto ciclo. King (sotto suggerimento di Straub)
renderà esplicita la connessione ambientando La Casa del
Buio (sequel del 2001 del
presente romanzo) proprio nella continuity
della Torre. Anche se
non fosse andata così, comunque, il parallelismo della vicenda di
Jack Sawyer con quella di Roland di Gilead, pur con il dovuto
ridimensionamento, è evidentissimo. È la stessa storia raccontata
in modo diverso. A merito di King va anche detto che, all'inizio
degli anni Ottanta, la saga della Torre
era ferma al primo libro e, di fatto, non era ancora una saga. Nel
1984 non c'erano alcuna Torre e alcun ka-tet descritti nelle pagine
di King, solo un pistolero dall'incerto destino. La maestria con cui
King ha incastrato i pezzi nel corso dei decenni ci lascia, leggendo
le sue opere in retrospettiva, ancora più esterrefatti.
I
Territori sono un mondo dal sapore medievale, privo di tecnologia ma
con evidenze di magia, o comunque con “regole” diverse (ad
esempio vengono descritti, in una bellissima scena contemplativa,
degli uomini alati che si gettano da una torre e volano nel cielo
limpido). Tuttavia i Territori somigliano geograficamente (e anche
politicamente) agli Stati Uniti. La minaccia che incombe su questo
mondo, non perfetto ma senz'altro incantevole, è quella della
tecnologia e della crudele egemonia portata dai nuovi arrivati, Sloat
e i suoi scagnozzi provenienti dal nostro mondo. Sono riusciti a
costruire una ferrovia attraverso i due mondi al fine di aprire il
“commercio” con i Territori. L'impressione subito evidente è che
King e Straub parlino della devastazione del territorio e dello
spirito americano nella Storia, a cominciare dai Conquistadores fino
alle attuali guerre o guerriglie politiche. In Il Talismano
ci viene mostrata soltanto la cospirazione (Sloat e le sue
macchinazioni), e verso la fine Jack si imbatte nel treno pronto a
salpare alla volta dei Territori (lo sfrutterà poi a suo favore). Il
processo di distruzione non è ancora realmente cominciato, dilaga
soltanto la paura tra la gente: la Regina sta per morire, e viene
fatto intendere che sarà quello l'evento che darà il via alla
conquista incontrollata dei Territori. Dunque anziché avere una
situazione già disperata, King qui utilizza la struttura fiabesca
più tipica ed ottimista dove il cattivo non riesce affatto nelle sue
intenzioni. Sloat, va detto, non è certo Randall Flagg... Portate ai
termini estremi, King ha esplorato le conseguenze
dell'autodistruzione della civiltà tecnologica occidentale in Terre
Desolate (ciclo della Torre,
1991) e nell'apocalittico L'Ombra dello Scorpione
(pubblicato integralmente nel 1990 ma risalente, nella prima
versione, al 1978). Se consideriamo anche le opere più recenti
(Desperation, Cell e
naturalmente gli ultimi libri della Torre),
la tematica è stata affrontata in modo più drastico e pessimistico,
con finali non più di tanto positivi. Il Talismano,
in confronto, ha un lieto fine come solo una fiaba potrebbe avere.
Anche
Svelto Parker, il primo personaggio che Jack incontra e che è la
causa scatenante dell'intera vicenda, è tratteggiato in modo
tipicamente kinghiano ma è, soprattutto, una figura letteraria
tradizionale. Decritto come un anziano nero dotato di spirito sempre
ottimista e della saggezza da strada (l'hobo
o bluesman americano),
è facile tracciare il parallelismo con Dick Hallorann di Shining,
il cuoco che introduce Danny Torrance al potere della luccicanza. Qui
Svelto mostra a Jack i Territori e come “flippare” (gli fornisce
inizialmente del succo, ma si scopre poi non essere magico: Jack è
in grado di spostarsi secondo la propria volontà). Come da
tradizione narrativa, l'anziano che fornisce una potente conoscenza
al personaggio, o comunque il “saggio compagno di viaggio”
disposto al sacrificio per la causa e l'amicizia, è presente di rado
in King in modo così archetipico (oltre a Shining,
potremmo pensare al professor Burke di Le Notti di Salem).
Di solito King riesce a ibridare
questa figura con altre più o meno centrali, rendendola più
complessa: per esempio il sociologo Bateman di L'Ombra
dello Scorpione o Red di Rita
Hayworth e la Redenzione di Shawshank.
Quello che le accomuna è la personalità scaltra, saggia, ironica, e
un'estrazione spesso “diversa” (scienziati, detenuti,
omosessuali, neri). In generale sono quei personaggi di secondo piano
che ispirano subito un sentimento di affetto paterno nel lettore.
In
ogni caso, il rapporto che unisce immediatamente Jack e Svelto è
l'amicizia, e questo è l'ultimo grande tema che possiamo
identificare nel romanzo. Tema che si ripete sempre in King come uno
dei più centrali nella sua poetica. Nella parte finale del romanzo
entra in campo Richard Sloat, amico d'infanzia e figlio del cattivo,
che Jack coinvolge nella sua ricerca. Da bambino, Richard è rimasto
scioccato nel sapere dei Territori, e crescendo è diventato un
ragazzo pragmatico e razionale ai limiti dell'autolesionismo.
Unendosi a Jack, però, Richard affronta i suoi demoni, si schiera
addirittura contro il padre, e ne esce vincitore. L'amicizia è il
nucleo non solo dei romanzi dove i protagonisti sono ragazzi e dunque
è resa più palese (IT, Il Corpo, L'Acchiappasogni)
ma in generale di tutte le storie ove un gruppo di persone si unisce
a fronteggiare un destino comune. L'amicizia cela dietro di sé la
battaglia dello scetticismo contro la fantasia; metaforicamente è la
battaglia dello scrittore contro lo scetticismo del lettore: il
lettore dev'essere indotto a credere di sua spontanea volontà nel
mondo magico della storia. Così i ragazzi, la cui mente è più
aperta e fantasiosa di quella degli adulti, sono gli unici a poter
vedere certi demoni (IT),
oppure gli adulti (quelli dalla parte del Bene) devono tornare alla
serenità di una fede cieca (L'Ombra dello Scorpione, La
Torre Nera). L'amicizia diventa
quindi l'arma più forte per sconfiggere la malvagità in tutte le
sue forme.
In Il
Talismano gli adulti sono
fondamentalmente crudeli e mossi da interessi spietati: il reverendo
Gardener è un sadico che sfrutta la predica religiosa per i suoi
loschi fini. In King, spesso i rigidi dogmi cristiani sono la strada
per la follia (Carrie,
La Zona Morta, La Nebbia, The Dome).
I personaggi “buoni”, invece, sono impotenti od assenti (la madre
di Jack e la sua gemellante, il padre defunto, persino Svelto non fa
altro che indicare la via a Jack e, nel finale, lo ritroviamo in
serio pericolo). La malvagità è parte dell'essere umano e la
religione, l'alcolismo, i fatti della vita e le ossessioni personali
tirano fuori il peggio di noi. La Casa del Sole del reverendo
Gardener dove Jack e Lupo vengono rinchiusi, così come il collegio
dove volontariamente vive Richard, sono l'estremizzazione del mondo
di leggi, regole e dogmi nel quale ci troviamo impantanati dalla
nascita, vittime più o meno volontarie; e sono anche la gabbia di
ottusa razionalità che tenta di fermare lo spirito di chi vuole
andare oltre.
Il
bello di Il Talismano è
che tutto ciò balza subito all'occhio perché, appunto, è al
servizio di una storia fantastica che nasce semplicemente per il
piacere di raccontarsi. La bravura dei due autori nel dare contesto e
spessore alle situazioni ci fornisce tutto il background che ne
possiamo trarre. In particolare va sottolineata la bellezza catartica
del prologo, forse la miglior introduzione di un personaggio: la
meditazione di Jack seduto in riva all'Atlantico, in attesa che il
suo viaggio infinito abbia inizio.
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