E ALLORA COSA CI HANNO DATO 20 ANNI DI PEARL JAM?
Questa mia carrellata attraverso gli
episodi discografici dei primi 20 anni dei Pearl Jam è servita (a
me, e spero anche a voi) innanzitutto per fissare le mie impressioni
sulla loro evoluzione, per sottolineare l'evidenza di tale evoluzione
(e controbattere a tesi contrarie che mi è capitato di incontrare),
secondariamente per riassumere il bagaglio di rarità sparse qui e
là, e infine – come tesi conclusiva – per ribadire che i Pearl
Jam, a mio parere, sono l'ultima Rock Band in circolazione. I loro 20
anni, quindi, hanno ottime ragioni per essere festeggiati.
Ho voluto tracciare, mediante commenti
sintetici, un disegno generale. Tuttavia non ho detto tutto quello
che vorrei, non sono sceso in dettaglio nella questione: cosa
rappresenta la musica dei Pearl Jam? E' una domanda che tende a
sorgere spontaneamente quando si parla di una band “recente”
(cioè successiva agli anni 70 e 80).
Va detto per prima cosa che i Pearl Jam
hanno sempre rivelato di reputare un valore assoluto alla musica, di
averne a cuore il futuro, e dunque di prendere esempio da mentori
come Neil Young e Pete Townshend piuttosto che da Kurt Cobain. E
parallelamente, di prendere subito le dovute distanze dai killer
della musica come MTV e dallo scenario generale dei primi anni 90 che
vedeva i grandi nomi venduti agli spot pubblicitari. La prima chiave
di interpretazione dei Pearl Jam sta qui: nell'estetica di una Rock
Band come non se ne vedevano da tempo (anzi: con un valore e
un'onestà aggiunte proprio per via dei nuovi tempi). Nati nel
contesto del “nuovo rock” che fermentava a Seattle, sono presto
usciti dalla sua ombra e, ad oggi, sono i soli a essere ancora qui.
Quindi cosa contiene la loro musica?
Ecco la seconda chiave.
Musicalmente, il timbro dei Pearl Jam è
a cavallo, da una parte, tra hard rock e rock cantautoriale anni 70,
e dall'altra, grunge e art-rock contemporaneo. Estremamente ibrido e
variabile di canzone in canzone, con ballads accostate a brani
furiosi – sebbene non siano mai gratuitamente furiosi – il gruppo
ha codificato uno stile che è andato arricchendosi. Liricamente, non
solo Eddie Vedder è cresciuto rispetto alle prime composizioni, ma
soprattutto i PJ sono passati a una scrittura di gruppo di armonia
invidiabile. Il cambiamento drastico avviene con No Code. Lo
sguardo di Vedder, inizialmente portavoce di un preciso contesto, che
su Ten tracciava immagini cupe di ragazzi problematici, si è
rapidamente spostato con naturalezza ed intelligenza. Ribellione e
resistenza si sono elevate a osservazioni universali e sempre ben
dosate, vedi Binaural e Pearl Jam. Già da Vitalogy,
inoltre, Vedder ha messo bene in chiaro i suoi punti di vista, ciò
che ritiene malattia sociale, ciò che odia e ciò a cui ambisce, con
la coscienza del suo ruolo di rockstar.
Sempre molto attenti all'universo
interiore, il songwriting di Vedder e degli altri è quasi sempre un
abbinamento di versi che esplicano chiaramente il significato della
canzone e di altri che, almeno a noi, sono un po' criptici, fatti di
immagini personali che contribuiscono al colore della canzone. La
loro musica è perciò a livelli, ma è sempre umanamente
interessante a prescindere dal tema.
Insomma non è facile liquidarli
all'interno di un genere o di una ripetitività tematica, sarebbe
ipocrita, tanto quanto non riconoscere la naturale crescita di una
band che ha preso la musica sul serio. Io penso sempre che i Pearl
Jam abbiano qualcosa in comune con tutto, al contempo distinguendosi
da tutto. Esempio, vedo quant'è diversa la scrittura tra Neil Young
e Nick Cave, e mi viene da pensare che i Pearl Jam stiano nel mezzo.
Sono sempre nel mezzo. Probabilmente il loro stile “corale”
fa da giusto commento all'epoca in cui hanno fatto carriera, dove un
mix estetico – di buon gusto – era l'unica cosa che potesse avere
peso.
Poi, l'importanza di un testo scritto
da Vedder in confronto a un testo di Jim Morrison o di Neil Young, è
uno di quei paragoni piuttosto idioti in cui si cade troppo spesso,
come quando si paragonano i dischi nuovi con le vecchie pietre
miliari. Tale valore può essere oggettivo? Sappiamo che il valore
“storico” o “artistico” di un gruppo non è più dettato dal
riscontro di mercato. Business, immagine, lo stesso concetto di
importanza... tutto ciò è discutibile all'infinito. Ma la
trasparenza e l'atteggiamento dei Pearl Jam devono essere considerati
per fare due conti e rendersi conto del loro peso sugli ultimi
vent'anni. Un peso che non è stato certamente dettato da tutti
quegli affari – che nulla c'entrano con la musica – per
assicurare un certo numero di copie distribuite, le copertine dei
magazine, eccetera. E se all'inizio Ten poteva rappresentare
un fenomeno sociale e musicofilo, con conseguenti mode di mercato,
sappiamo anche che dopo Vitalogy potevamo non sentire più
parlare dei Pearl Jam. Il fatto è che hanno gli zoccoli duri (e la
testa dura) proprio come i loro mentori. Dunque tanto di cappello.
Per approfondire l'aspetto storico e
musicale del gruppo, vi rimando a tre libri utili. “Le canzoni dei
Pearl Jam” di Giulio Nannini (Editori Riuniti) con i testi
commentati fino al 2000, e “Pearl Jam Evolution” (Chinaski)
scritto dai curatori del sito www.pearljamonline.it
(anche se non l'ho ancora letto, sicuramente la fonte fondamentale).
Per un ampio raggio sul panorama musicale americano, la solita Bibbia
che raccomando: “Blues, Jazz, Rock, Pop” di Ernesto Assante e
Gino Castaldo (Einaudi).
Leggi anche:
No Code & Yeld
Vitalogy & Merkin Ball
Ten & Vs.
ottima analisi; aggiungerei che sono l'ultima band rock vecchia maniera insieme ai Rem.
RispondiEliminacondivido in pieno: the last rock band in town!
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