TULLIO DOBNER O DELLA TRADUZIONE (PT.1)
Soltanto in questi giorni mi sono reso conto che su un blog letterario c’è una discussione – tenuta in questi mesi – tra i lettori di Stephen King e il traduttore italiano delle sue opere, Tullio Dobner. Ebbene ciò che dice Dobner è interessante su tutti i fronti e talvolta grandioso. Riporto qui estratti dei suoi interventi ordinati in base ai temi delle discussioni (cioè riordinati dal caos delle domande-risposte).
Fonte: Anobii
Parte 1 - Dobner sul lavoro e la filosofia del tradurre.
Breve storia del libro:
Se le fasi di lavorazione sono pressoché quelle di sempre, sono purtroppo cambiati i tempi.
Da una decina d'anni in qua gli anticipi pretesi dall'Editore originale per l'edizione tradotta si sono ingigantiti e vengono pretesi pronto cassa. Non so nemmeno immaginare in che ordine sia l'anticipo su un libro di King. Case Editrici relativamente piccole ricorrono al credito per poter pagare. Ne consegue che poi tentano di pubblicare in Italia il più velocemente possibile per poter rientrare dall'esposizione finanziaria in tempi brevi.
Prima conseguenza è che non si traduce più dall'opera pubblicata, ma da un dattiloscritto. Quando va di lusso, da prime bozze. Per la traduzione ho un referente interno alla redazione, la Piera, che rilegge il mio testo, la infarcisce di ogni genere di correzioni, note e proposte alternative e me la rimanda. Io passo in rassegna tutto quello che ha scritto lei, la benedico per le megatoppate che ha rilevato, la maledico per le sue idiosincrasie linguistiche, medito sulle sue proposte.
A questo punto il testo va in composizione, con regole precise che alle volte richiedono nuovi piccoli interventi di merito, se per esempio un capitolo finisce "male" e va accorciato o allungato.
Il testo composto va in correzione di bozze - due giri - e viene riesaminato un'ultima volta in redazione per il visto si stampi.
Tutto questo sembra molto bello in apparenza, senonché ormai una procedura che durava, diciamo, sei mesi, deve essere contratta entro tre, e questo impedisce a tutti coloro che vi contribuiscono di darsi il tempo necessario a riflessioni ponderate. E il prodotto finale ne risente.
Quanto ho detto vale in generale per tutte le Case Editrici che pubblicano Autori "commerciali".
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Problema annoso, quello delle note. Ogni Casa Editrice ha le sue norme grafiche. E alla Sperling non vogliono note. Questo spiega anche certi miei sforzi alle volte contorti per riuscire a riprodurre anche quello che non si può o a infilare di straforo nel testo una spiegazione, un indizio, qualcosa che aiuti il lettore a comprendere l'arcano.
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Le Case Editrici che pubblicano opere letterariamente di rilievo non sono vincolate dai tempi di uscita, possono lavorare a lungo su un testo per rifinirlo al meglio.
Per la precisione la revisione di un testo è affidata al revisore; il correttore di bozze si occupa di refusi e imperfezioni di composizione.
Sugli uni e gli altri qualche anno fa Doris Lessing (tradussi anche lei) pubblicò un autentico pamphlet collerico denunciando il progressivo scadimento del lavoro di revisione e correzione dei testi. E gli errori degli Autori sono pari a quelli dei traduttori. Ma il problema principale resta sempre lo stesso: la fretta che è conseguenza di una filosofia consumistica che coinvolge tutto il pianeta e in ogni settore.
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I titoli non sono di competenza dei traduttori.
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Qualche intervento nel merito i traduttori lo fanno, per esempio quando correggono errori commessi dall'Autore, ma sono cose minime che non arrivano alla qualifica di editing.
Le operazioni successive sono di competenza della redazione, il cui obiettivo è il mercato (ribadisco che parliamo di romanzi a grande tiratura). Quello che intendevo nell'intervista è che piccoli interventi che rendono più scorrevole la lettura al grande pubblico non pregiudicano l'integrità dell'originale: naturalmente guardando l'opera nell'ottica commerciale dell'editore. Come ho dichiarato da sempre e dappertutto, chi ha la priorità filologica di un testo deve leggerlo nella lingua originale e astenersi dalle interpretazioni altrui, buone o scadenti. Non c'è altra soluzione.
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Mentre traduco posso divertirmi qualche volta, sì, ma fondamentalmente il traduttore sta "dentro" il libro e non riesce a vederlo nella sua totalità. Come quando un pittore fa un grande affresco: stando così vicino, vede le tracce del suo pennello e l'affresco può solo immaginarlo.
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Io non frequentai scuole di traduttori. Frequentai solo una fantastica insegnante di inglese, in privato. A scuola – giustamente – i miei mi iscrissero al corso di tedesco, perché l’inglese lo facevo privatamente. Ma se sono diventato traduttore lo devo principalmente alle mie insegnanti di italiano. Mia madre compresa. Perché per tradurre bisogna saper scrivere. Non è necessario sapere bene la lingua da cui si traduce. So che do scandalo, ma credetemi è così. ( io peraltro lo sapevo così bene che ci furono anni in cui mi facevo passare per inglese tra gli inglesi e nessuno si accorgeva che non lo ero, ma è un’altra storia)
Allora il primo requisito è: saper scrivere bene.
Il secondo, ma secondo, è conoscere la lingua da cui traduci.
Il terzo è tenersi informati sulla cultura e la sociologia del Paese di riferimento.
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La traduzione non è scienza esatta è percezione, credo.
Poi capita la giornata storta in cui non percepisci niente e devi tradurre lo stesso e magari quelle dieci pagine vengono fuori faticosamente. Io mi sforzo di evitarlo: se non sento il testo, me ne vado a spasso, nel campo, mi guardo una partita di tennis, non so. Ma purtroppo non sempre lo puoi fare.
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C'è un aspetto del tradurre che è difficile spiegare. […] Quando uno traduce - non io, tutti noi - esce da se stesso e si affonda nel testo, ma non nel senso sintattico, ci entra come... be', santiddio, l'ho scritto e sviluppato anni fa: è come fare l'amore. Allora il linguaggio in quanto tale diventa sovrastruttura e ci scappa di tutto, perché devi starci dentro e non in superficie. Insomma, quando ti va bene, ricrei e ti lasci andare, e allora ti scappano fesserie in superficie perché tendi a riprodurre l'anima dello scritto. Non so se riesco a spiegarmi.
Poi naturalmente c'è un revisore che dovrebbe sistemare le sciocchezze che ti sono scappate, ma nessuno è perfetto.
Le scarse volte che trovo la forza di scrivere qualcosa, non mi pongo problemi (posso dire grazie al cielo?) e scrivo come mi viene.
E quando arrivano bozze diverse dal testo che ho tradotto.. andiamo sui francesismi? Sono cazzi. No, nessun problema a ritradurre. Ma non è così che si lavora e non sono contento.
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Tradurre letteratura significa riproporre stile, sensazioni, pelle, ritmo. Si può sbagliare la singola parola se tieni fede all’originale nel suo fondamento. Questo è il proposito di un buon traduttore (interprete) di un testo letterario.
Sbagliare nell’interpretare questa o quella parola non è mai fondamentale se hai capito il senso del testo, se ci sei entrato e lo hai reso. Sbagliare è sempre un peccato e per tutti noi è qualcosa che non sappiamo perdonarci, ma alla fine quello che conta per noi e per il lettore è altro: siamo stati honest? Siamo stati onesti e sinceri nel tentare di offrire al pubblico di lingua italiana il meglio di quel che potevamo?
[…]
Non so fino a che punto il pubblico dei lettori sia diventato più esigente […]. Penso piuttosto che ci sia sempre stata una fascia di lettori più accurati e sensibili alla qualità del prodotto come in tutti i settori: dico anche nell'acquisto di una scatola di pelati. E penso che il consumismo imperante li stia danneggiando. Non è la cattiva volontà, è la contrazione dei tempi.
A me non è mai piaciuto dobner;leggo king dall'inizio e da quando ho incominciato a leggere il Re in originale il traduttore mi è scaduto ancora di più;non ricordo se in christine o it c'è una scritta su un muro che il "bravo" tullio traduce con LE REGOLE DI CTHULHU che nel contesto non aveva senso;pensandoci un pò ho capito che in originale era CTHULHU RULES...
RispondiEliminaun errore elementare....
Leopoldo mi scadi anche tu, non era Christine, non era It... e a dirla tutta non era nemmeno Cthulhu! Era "Cose preziose" e l'entità lovecraftiana evocata era Yog-sothoth! :P
RispondiEliminaDobner ha sbagliato di brutto qui, ma qualcun altro fece curiosamente un errore analogo in una situazione simile: quella scritta sul muro "Yog-sothoth rules" è un riferimento ad un racconto di Philip José Farmer, "The Freshman" (in italiano "La matricola"), in cui appare la scritta sul muro "Yog-sothoth sucks".
Il traduttore italiano del racconto di Farmer (di cui non ricordo il nome, ma non credo proprio fosse Dobner, probabilmente era Gianni Pilo o Sebastiano Fusco) tradusse la scritta sul muro con "Yog-sothoth succhia" !!!
Cercando su Internet vedo che esistono anche una traduzione di "La matricola" di Chiara Vatteroni e una di Daniela Galdo e Gianni Pilo. Chissà se lì la scritta sul muro è giusta...